Vita e opere di San Giovanni “Boccuccia”
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Giovanni Sartori
Se per caso in novembre non avete acquistato il Guerin Sportivo (male: il Guerino bisogna prenderlo tutti i mesi!), magari vi è sfuggito il mio articolo dedicato a Giovanni Sartori, il vero “uomo in più” del Bologna che sta conquistando tutti. Allora ve lo ripropongo oggi, su SoloCalcio, dopo la grande serata di Coppa Italia e alla vigilia di quello che è il suo personalissimo derby, Bologna-Atalanta…
C’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico, sotto il cielo del calcio italiano. Una città che ribolle di passione, Bologna, dopo che per tanti anni è stata costretta ad accontentarsi di qualche brodino tiepido, magari con la paura che il domani non proponesse più nemmeno quello. È ovviamente troppo presto per sapere a che cosa possa aspirare la squadra di Thiago Motta, ma il cambiamento di prospettiva c’è stato ed è sotto gli occhi di tutti.
Quello che in un passato ormai remoto era uno squadrone capace di far tremare il mondo e qualche decennio dopo giocava come in Paradiso, in epoca “moderna” – diciamo negli ultimi cinquant’anni – ha ottenuto come massimo risultato il settimo posto in classifica. Blasone appannato, quindi, per un club che ha vinto sette scudetti che avrebbero potuto essere otto se nel 1927 quello revocato al Torino per il “caso Allemandi” fosse stato assegnato alla seconda classificata. Dalla preistoria alla storia, infine all’attualità: forse ci siamo, non per lo scudetto ma per un piazzamento “europeo”.
Ci siamo perché Joey Saputo – nonostante le critiche che gli arrivano (arrivavano?) dai cosiddetti “mai goduti”, categoria del tifo rossoblù – da anni ha dato stabilità alla società e messo mano al portafogli quando ce n’è stato bisogno. Ci siamo perché in panchina siede un giovane tecnico, Thiago Motta appunto, destinato a una grande carriera. Ci siamo infine perché nella sala comandi di Casteldebole è arrivato quello che il direttore di questo giornale ha definito in una recente intervista “L’uomo dei tre miracoli”, Giovanni Sartori.
Quando “Boccuccia” fu preferito a Rivera
Ma chi è, Giovanni Sartori? Ce lo racconta chi lo conosce bene, il Campione del Mondo Fulvio Collovati. «Siamo coetanei, abbiamo fatto insieme la trafila nelle giovanili del Milan, dal Nagc alla Primavera, alla prima squadra. Siamo cresciuti insieme, compagni di… letto a castello. Giovanni era un ragazzo timido, come me, e rispettoso delle regole che vigevano a Milanello: a letto alle 22.30, l’indomani tutti a scuola assieme in treno o accompagnati dal pullman della società. Altri tempi, rispetto a oggi…».
Volendo riassumerlo in tre aggettivi?
«Timido, solare e testardo. Timido perché i ragazzi dell’epoca che si trovavano a vivere giovanissimi lontano dalle famiglie lo erano… per forza. Solare perché nonostante la timidezza viveva tutto con grande entusiasmo, addirittura troppo, tant’è vero che gli imponemmo il nomignolo di “Boccuccia”. Aveva (ha…) la bocca grande, rideva un sacco e noi, per prenderlo in giro, gli dicevamo di chiuderla, quella bocca. Da lì a “Boccuccia” il passo fu breve… E poi testardo perché aveva idee chiare e faceva di tutto per portarle avanti, denotando grande carattere».
Sul piano tecnico, che tipo di giocatore era?
«Un centravanti più fisico che tecnico. Era già parecchio alto da ragazzo e questo faceva la differenza, nei campionati giovanili».
Però in prima squadra, nel Milan, non riuscì a lasciare traccia…
«La società aveva deciso di mandarlo nelle categorie inferiori a “farsi le ossa”: Venezia, Udinese e Bolzano, poi lo richiamò l’anno in cui vincemmo lo scudetto della Stella. Lei dice che non lasciò traccia? In realtà, una volta Liedholm sacrificò Rivera per farlo giocare…».
Addirittura?
«Sì, e non in una partita “normale”, pensi un po’: il Derby. Ricordo ancora la scena. Siamo negli spogliatoi e il mister comincia a distribuire le maglie: “… 8 Buriani, 9 Sartori, 10 Bigon, 11 Chiodi”. Rimanemmo tutti di stucco. Tutti tranne Rivera, ovviamente, che andò da Liedholm a chiedergli il perché di quella esclusione. Il Barone, con la tranquillità che l’ha sempre contraddistinto, gli spiegò che il mago Maggi, a cui si rivolgeva per avere consigli, gli aveva detto che i suoi bioritmi erano in fase calante, mentre erano all’apice quelli di Sartori. Morale della favola: gioca Giovanni, Gianni non va neppure in panchina (ovviamente…) e noi vinciamo 1-0».
Che domenica bestiale…
Milano, 12 novembre 1978
MILAN-INTER 1-0
Rete: 49′ Maldera.
Milan: Albertosi, Collovati, Maldera, De Vecchi, Boldini, F. Baresi, Novellino, Buriani, Sartori, Bigon, Chiodi.
Allenatore: Liedholm.
Inter: Bordon, G. Baresi, Fedele, Pasinato, Canuti, Bini, Oriali, Marini, Altobelli, Beccalossi, Scanziani (72′ Chierico).
Allenatore: Bersellini.
Arbitro: Michelotti di Parma.
Espulso: 41′ Altobelli.
Spettatori: 65.965.
Il viandante del gol
D’accordo, Giovanni Sartori visse quella domenica da leone, però in realtà – nonostante lo scudetto appuntato sul petto a fine stagione – il Milan lo scaricò e lui iniziò il suo peregrinaggio in giro per l’Italia senza regalare troppi acuti… «Vero» spiega Collovati, «a Giovanni toccò fare una specie di Giro d’Italia. Proprio lui che è uno “stanziale” per definizione: pensi che si fidanzò con una ragazza di Sirmione, si sposò e, pur continuando a spostarsi per lavoro, la sua residenza è sempre rimasta in riva al Lago…».
Nella sua esperienza da… pendolare del gol, ha giocato indossando le maglie di Sampdoria, Cavese, Arezzo, Ternana e Chievo. Qualche soddisfazione in blucerchiato, però la vera svolta è arrivata all’ultima fermata, a Verona.
Discreto bottino di reti, ottimo feeling con il club clivense, che grazie ai suoi gol passò dalla Serie D alla C2. Poi, per il passaggio dalla C2 alla C1, addirittura si… sdoppiò: in campo da giocatore e pure in panchina come vice del tecnico Gianni Bui.
A 32 anni decise di appendere le scarpe al chiodo e sembrava destinato alla carriera di allenatore. Invece… «Invece» interviene Collovati, «Giovanni non ha mai pensato di fare l’allenatore, perché è troppo buono per occupare quel ruolo».
Mussi sulla rampa di lancio…
Il tifo, si sa, si nutre di rivalità. L’Hellas Verona, che nel 1985 aveva vinto un irripetibile scudetto, scoprì il fascino ambiguo della parola derby. Già, perché la squadretta di quel quartiere, il Chievo, un tempo domiciliata fra i Dilettanti, grazie anche a Sartori aveva cominciato a risalire la china.
I supporter Molossi, allora, s’inventarono un simpatico striscione da esporre al Bentegodi: “Quando i mussi i volerà, faremo il derby in Serie A”, là dove i mussi sono gli asini in dialetto. Non sapevano, tapini, che il calcio non è una scienza esatta, e nel 2001 il Chievo in A ci arrivò veramente.
E ci arrivarono grazie al lavoro del suo direttore sportivo, Giovanni Sartori, che dopo essere stato il consulente personale del presidente Luigi Campedelli, alla sua morte (1992) diventò il diesse clivense per volontà di Luca Campedelli, che aveva ereditato il club dal padre.
Miracolo numero 1
Il nuovo ruolo, di direttore sportivo-direttore generale, mette in mostra quelle doti da fuoriclasse che in campo Sartori non aveva mai mostrato. Dietro la scrivania, Giovanni fa veramente miracoli: recupera a prezzo di saldo calciatori dati per finiti che a Verona conoscono una seconda giovinezza, gira i campi di tutta Italia per scoprire nuovi talenti. «Perché lui» spiega Collovati «ha il pregio di andare a vedere di persona i calciatori che gli vengono segnalati, non si fida dei filmati proposti dai procuratori. Va al campo e segue il ragazzo anche quando non è inquadrato dalle telecamere, perché è così che capisce realmente le sue qualità tecnico-tattiche».
È talmente bravo che già dal debutto – testimonianza personale – il suo nome è il più gettonato quando si tratta di assegnare, a fine stagione, il Guerin d’Oro. Orio Bartoli, grande conoscitore del calcio di Serie C e caporubrica sul Guerino, ce lo fa conoscere in anteprima.
Altra testimonianza personale: ci fidiamo di Orio, ma il direttore mi dice di chiedere un parere a mio padre, presidente dell’Adise, l’associazione che raggruppa i direttori sportivi italiani. La risposta del babbo non lascia dubbi: «È bravo, serio e onesto». Una trentina d’anni fa, quindi, iscrive per la prima volta il suo nome nell’albo d’oro del nostro premio.
Scalando di categoria, farà il vuoto pure in B e in A. Già, perché nel frattempo il Chievo cresce in tutti i sensi, i “mussi” volano in alto, arrivando addirittura a frequentare i salotti europei, e lui con loro.
Il calcio italiano si accorge di lui, grandi club gli strizzano l’occhio, ma lui resta a Verona. «Perché è un tipo stanziale e quando può lavorare come vuole lui non abbandona mai la sua “creatura”» commenta Collovati.
Poi, nel 2014, il colpo di scena: Sartori lascia il Chievo, ma non per andare a dirigere una Grande, bensì l’Atalanta, che Grande vorrebbe diventare. E perché uno “stanziale” come lui lascia il Chievo? Diciamo che non è più in sintonia con il presidente Campedelli, che nel giro di pochi anni accumulerà una penalizzazione, una retrocessione, il fallimento e infine la cancellazione dai ranghi federali.
Come aveva detto, mio padre? «È bravo, serio e onesto»: ecco spiegata la fuga…
Miracolo numero 2
È l’1 agosto 2014, quando Sartori diventa direttore tecnico dell’Atalanta. La Dea è tornata in Serie A da tre stagioni e fino a quel momento non ha certo brillato, frequentando più che altro le zone meno nobili della classifica.
Il presidente Percassi non ne può più di quelle salvezze risicate e chiede al suo ditì un salto di qualità. In fin dei conti, avrà pensato il numero 1 bergamasco, se c’è riuscito con il Chievo, perché non dovrebbe riuscirci con l’Atalanta? Più facile a dirsi che a farsi, come tutte le cose del calcio e della vita.
Prime due stagioni di… studio (d’altronde Roma non è stata costruita in un giorno, giusto?), poi nel 2016 Giovanni individua l’uomo giusto da mettere in panchina, Gian Piero Gasperini, e la Dea prende il volo: reduce da un anonimo tredicesimo posto in classifica, la squadra del “Gas” chiude quella successiva, 2016-17, addirittura al quarto posto!
A impreziosire questo risultato prestigioso (mai l’Atalanta era arrivata così in alto), c’è da dire che arriva dopo un partenza da incubo: nelle prime cinque giornate, infatti, i nerazzurri raccolgono solo tre punti e si ritrovano al penultimo posto in classifica.
La “piazza” rumoreggia, sono in tanti a volere la testa di Gasperini, ma tra questi non ci sono Percassi e Sartori, che confermano il tecnico e si godono la cavalcata trionfale che li porterà, appunto, al quarto posto.
Rotto il ghiaccio, eccolo, il secondo miracolo di San Giovanni “Boccuccia”: da lì in poi si spalancano le porte delle coppe europee (Europa League, ma anche Champions) e l’Atalanta – forte di tre terzi posti consecutivi – entra di diritto nel ristretto numero delle Grandi del nostro calcio.
Percassi, Sartori e Gasperini formano un triumvirato affiatatissimo ed efficientissimo, tanto da attirare l’attenzione di Bain Capital, fondo d’investimento statunitense con 175 miliardi di dollari di capitale, che acquisisce la maggioranza azionaria nel 2022.
Pochi mesi dopo, il colpo di scena: Sartori annuncia le proprie dimissioni, difficili da spiegare dall’esterno. Collovati, invece, non ha dubbi: «Giovanni era in conflitto con Gasperini. Per il bene suo e dell’Atalanta, ha preferito andarsene».
Non c’è 2 senza 3…
Siamo all’attualità. Sartori, uomo-mercato per eccellenza, è a sua volta… sul mercato. Le offerte non mancano («So per certo che in passato è stato vicinissimo al Milan» chiosa Collovati) e lui sceglie Bologna. Che non è esattamente a due passi da Sirmione, ma neanche così lontana, però lo stimola alla ricerca di nuovi orizzonti.
E lui lo spiega fin dal giorno della presentazione: «L’aspettativa è alta. All’Atalanta mi venne chiesto di ripetere il percorso del Chievo. Qui mi è stato chiesto di ripetere quello fatto all’Atalanta. Ma ve lo dico subito: l’Europa va nominata. Il Bologna che trovo è più forte dell’Atalanta che trovai».
Pochi mesi dopo l’insediamento, ha dovuto affrontare un problema gigantesco: la malattia aveva preso il sopravvento su Mihajlovic, la squadra – legatissima al tecnico – pareva allo sbando, bisognava intervenire. «Ho firmato per il Bologna a fine maggio e Sinisa l’ho incontrato per la prima volta a inizio giugno. Ci siamo confrontati su tante cose, poi c’è stato il nuovo intervento al quale si è dovuto sottoporre e per quaranta giorni è rimasto in ospedale.
C’era fiducia, “vedrai che tornerà”, mi ripetevano a Casteldebole: purtroppo la verità era un’altra». E così, con la morte nel cuore, Sartori tira fuori dal cappello a cilindro Thiago Motta, per molti un illustre sconosciuto: «Mi incuriosiva. L’avevo seguito allo Spezia perché avevamo tre giocatori dell’Atalanta. Ero rimasto colpito dal calcio che faceva: coraggioso, propositivo. Ho mandato uno dei miei collaboratori a seguirlo per una settimana e mi sono fatto un’idea precisa». Ok, l’uomo è quello giusto. Il Bologna riparte, recupera l’handicap, arriva addirittura a cullare il sogno europeo.
A Verona e Bergamo, per dire, era servito più tempo. Sarà questa, la stagione giusta per tornare a riveder le stelle nel cielo del Dall’Ara? Troppo presto per dirlo, ribadiamo, e poi i miracoli non si fanno mica annunciare… Semmai, in attesa che si compia questo terzo miracolo, per gioco possiamo ipotizzare quale sarà il quarto.
Nel 2021, Sergio Pellissier ed Enzo Zanin hanno fondato il Football Club Clivense e Sartori ha voluto acquistare alcune quote del club. Il quale, partito dal campionato di 3ᵃ Categoria, ha subito vinto campionato e Coppa, aggiudicandosi in seguito il campionato di Eccellenza e venendo promosso in Serie D, dove milita attualmente. Hai visto mai che in futuro si vedranno volare altri “mussi” sul Bentegodi?