Thiago Motta
Il tempo di lettura dell'articolo è di 9 minuti
Il cammino di San Thiago
Come canta Francesco Guccini, “gli eroi son sempre giovani e belli”. Thiago Motta, l’ultimo eroe della Bologna «sazia e disperata», secondo la definizione del compianto cardinal Biffi, possiede entrambe le caratteristiche: ha quarant’anni, che per un allenatore è l’equivalente della pubertà, e mostra tratti gentili, eleganti, oltre a un indubbio physique du rôle maturato in una ventina d’anni di calcio giocato.
Brasiliano di nascita, veneto d’origine e per questo con passaporto italiano e cooptato nella Nazionale azzurra pur avendo in precedenza debuttato nel Brasile, da calciatore – dopo gli inizi nelle giovanili in Brasile – approda in Europa, al Barcellona, appena diciassettenne.
Compiuta la trafila nella squadra B catalana, indossa il blaugrana dei “grandi” quando ha vent’anni e subito si impone come pilastro di centrocampo.
Vince un paio di volte la Liga, porta a casa altrettante Supercoppe di Spagna, ma subisce anche il primo, grave infortunio della carriera: durante una partita contro il Siviglia, saltano i legamenti del ginocchio destro, perché Thiago è un giocatore elegante, però non un “fighetto” e quando infuria la battaglia non si tira mai indietro.
A 25 anni passa all’Atletico Madrid: appena il tempo di debuttare e si rompe il menisco interno del ginocchio sinistro. Stagione persa, che si conclude con la mancata conferma da parte dei “materassai”: Thiago Motta si ritrova svincolato…
La terra del bisnonno
L’Italia è nel suo DNA grazie al bisnonno Fortunato (e questo gli è valso il passaporto italiano) ed entra pure nel suo presente grazie al Genoa, che se lo accaparra a parametro zero e lo cederà un anno dopo all’Inter per 9 milioni di euro.
L’affare, nell’estate del 2009, lo faranno tutti: il presidente genoano Preziosi, che mette a bilancio una bella plusvalenza dopo aver usufruito per una stagione della sua lucida regia; il calciatore, che vede riconosciute le proprie qualità con il passaggio a una Grande del calcio italiano; il presidente interista Moratti, che con lui (e l’altro ex genoano Milito, preso assieme a Thiago) consegna a Mourinho la squadra che il tecnico portoghese porterà a vincere scudetto, Coppa Italia e Champions League (Supercoppa Italiana e Coppa del Mondo per club arriveranno la stagione successiva).
Nel frattempo, come accennato, basta cancellare momentaneamente le strisce nere per vestirsi… d’azzurro: dal 2011 al 2016, Motta è il pilastro del centrocampo di due Ct (Prandelli e Conte), per un totale di 30 presenze e 1 rete.
Una nuova avventura
Poi si rompe qualcosa. No, non sono i piccoli-grandi incidenti di gioco che lo costringono spesso ai box: si rompe altro, che Thiago – con la riservatezza che lo contraddistingue – comunica solo a Massimo Moratti. Morale della favola, nel gennaio 2012, a trent’anni, inizia una nuova avventura, l’ultima da calciatore.
Il bulimico Paris St. Germain se lo porta nella Ville Lumière per una dozzina di milioni di euro scarsi (altro giro, altra plusvalenza…). Ancelotti – all’epoca tecnico del PSG – non impazzisce per lui, però Motta mette ugualmente la firma sullo scudetto, primo dei diciannove titoli che conquisterà nei sei anni di permanenza sotto la Tour Eiffel.
Ed è proprio qui che, a 36 anni, il centrocampista appende le scarpe al chiodo e dà il via alla sua seconda carriera, quella da allenatore. Gli vengono affidati i ragazzi dell’Under 19 e lui dimostra subito di saperci fare pure in panchina.
I finanziatori qatarioti apprezzano il suo approccio al nuovo mestiere e vorrebbero farlo crescere allenando le giovanili, ma quando arriva il canto delle sirene dall’Italia (per di più dal Genoa…), il richiamo è troppo forte per non sentirlo: Motta ringrazia, saluta e se ne va. Anzi, se ne torna là dove aveva avuto il primo contatto con il nostro calcio.
Preziosi problemi
È il 22 ottobre 2019 quando Preziosi, presidente del Genoa, annuncia l’ingaggio di Thiago Motta per sostituire l’esonerato Andreazzoli.
L’ex centrocampista rossoblù trova una realtà molto diversa, rispetto a quella che aveva lasciato: in sede si avvertono sinistri scricchiolii, che inevitabilmente vanno a riverberarsi sulla squadra in campo.
Morale della favola: mentre Preziosi cerca nuovi acquirenti, Motta prova a risollevare una formazione vittima del caos societario senza riuscirci, così a fine dicembre viene a sua volta esonerato.
Lui non ne fa un dramma e nel 2020 ottiene l’abilitazione come allenatore professionista di Prima categoria – Uefa Pro con una valutazione di 108/110.
Rimessi nello scaffale i libri di testo, è pronto per ripartire: nell’estate 2021 firma un triennale con lo Spezia, assumendo la responsabilità di proseguire l’ottimo lavoro iniziato da Italiano, nel frattempo passato alla Fiorentina.
Obiettivo centrato, salvezza raggiunta con una formazione non di primissima qualità, tanto che l’estate scorsa, a sorpresa, Thiago trova un accordo con la società e rescinde il contratto. La disoccupazione dura appena un paio di mesi.
Il Bologna passa di figuraccia in figuraccia e alla fine, come da copione calcistico, a farne le spese è l’allenatore.
Mihajlovic viene sollevato dall’incarico e la prima scelta per sostituirlo è De Zerbi. Il quale ci pensa e poi rifiuta, non sentendosela di rilevare Sinisa.
Un altro paio di giorni d’attesa, perché in corsa c’è pure Claudio Ranieri, e infine scocca l’ora di Thiago Motta.
Bologna l’adotta
Thiago è il nuovo allenatore rossoblù, ma in panchina contro la Fiorentina ci va il tecnico della Primavera, Luca Vigiani, che al momento è l’unico allenatore al mondo a vantare il 100% di successi: perché contro la Viola vince 2-1 e subito dopo torna a occuparsi dei suoi giovani.
Il giorno successivo è il Motta-day: l’italobrasiliano si presenta per quello che è, ovvero stile signorile, toni pacati, idee chiare.
Gli si chiede un miracolo, perché il mondo del calcio questo vuole, ma alla prima uscita, in casa contro l’Empoli, arriva una delusione: i rossoblù giocano, però regna ancora la confusione; colpiscono per due volte i legni della porta avversaria, mentre i toscani sfruttano un pasticcio della difesa bolognese, segnano e si portano a casa i tre punti. In sei giorni, dalla gioia con la Fiorentina alla delusione con l’Empoli. Tra i tifosi serpeggia il malcontento.
Qualcuno rimpiange che la società non abbia scelto “l’usato sicuro”, ovvero Ranieri, qualcun altro rimpiange Mihajlovic. E sono passati solo sei giorni dall’insediamento…
Non va meglio due settimane più tardi, quando – dopo la sosta – il Bologna rimedia tre ceffoni dalla Juventus, così come non mancano i fischi il sabato successivo, quando la sbalestrata Sampdoria di Stankovic (a sua volta appena subentrato a Giampaolo) strappa un 1-1 al Dall’Ara.
Ricapitolando: tre partite, un solo punto. Come se non bastasse, ad aumentare la sfiducia del popolo rossoblù c’è il nome dell’avversario successivo, il lanciatissimo Napoli, oltretutto da affrontare al Maradona. Finisce 3-2 per i partenopei, il bilancio peggiora ma si comincia a intravedere qualcosa.
Il buon Thiago, in conferenza stampa, spiega che i giocatori stanno assimilando nuovi schemi, nuove idee, e il processo non può essere immediato. Lui va oltre lo scetticismo dilagante, si rimbocca le maniche e continua a lavorare.
Il primo raggio di sole (anche se si gioca con le luci artificiali accese) è datato 20 ottobre 2022: è un giovedì, si disputa la Coppa Italia e il Cagliari viene battuto 1-0.
È un inizio, che comunque già tre giorni dopo, in campionato contro il Lecce, trova seguito: 2-0 e un altro mattoncino aggiunto alla sua credibilità.
Dopodiché, i successi a Monza e in casa contro il Torino (entrambi in rimonta) fanno impazzire di gioia i tifosi, che s’incupiscono appena per la batosta rimediata a Milano contro l’Inter (1-6), ma tornano a sorridere quando – nell’ultimo appuntamento del 2022 – Arnautovic e compagni asfaltano il Sassuolo.
L’inizio del 2023, dopo la sosta mondialista, è balbettante: kappaò a Roma contro Mourinho, kappaò al Dall’Ara contro Gasperini, il suo primo tecnico in Italia.
Poi per fortuna arriva l’impennata di Udine e tutti, ma proprio tutti, tessono le sue lodi, anche quelli che avevano sbuffato all’inizio e quelli che sbuffavano fino a ieri sera.
Oggi la classifica non fa più venire cattivi pensieri, la squadra ha assimilato le nuove idee, giocatori trascurati (Aebischer, Ferguson, Moro) o addirittura… sconosciuti alla precedente gestione tecnica (Posch) sono i nuovi idoli di una tifoseria tornata a gonfiare il petto. Adesso, sotto i portici medievali, il mantra è “Sócc’mel, che Bologna!”. E il cammino di San Thiago è solo all’inizio: basterà avere un po’ (più…) di pazienza