Renato Dall’Ara, il Presidente del Giudizio
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Correva l’anno 1934…
Il Bologna, negli anni Trenta, è un club molto caro alle alte cariche delle gerarchie fasciste.
A un certo punto, è il 1934, c’è da sostituire Gianni Bonaveri, e Leandro Arpinati, romagnolo di nascita ma bolognese d’adozione, presidente della Federcalcio e uomo di spicco del regime (salvo poi finire addirittura al confino per divergenze con il Duce), tira fuori l’asso dalla manica: Renato Dall’Ara (Reggio Emilia, 10 ottobre 1892 – Milano, 3 giugno 1964), industriale che vive alla grande sotto le Due Torri gestendo la sua ben avviata azienda di termomaglieria.
Dall’Ara è quasi a digiuno di cose calcistiche, ma accetta e prende in mano le redini del Bologna.
Si mette d’impegno, rendendosi conto che si tratta comunque di una bella ribalta. La determinazione non gli manca, la passione arriva di conseguenza. In fondo si trattava, avrebbe detto lui, di metterci un poco di “disciplina volonterosa”.
Era quello il termine coniato prima di una partita, per arringare i suoi ragazzi: «Per vincere, servono tre cose. Volontà, disciplina e… e… Beh, diciamo anche disciplina volonterosa».
Trionfi e campioni in serie
Con i suoi modi schietti e ruspanti, entra in fretta nel cuore dei bolognesi. Anche perché il suo Bologna vince, e non poco.
Subito la Coppa Europa del ’34 e il mitico Trofeo dell’Esposizione di Parigi del ’37. E ancora, quattro scudetti nell’era del Bologna più sfavillante.
Tecnicamente ferrato o no, Dall’Ara i talenti li trova e li porta in rossoblù. Inizia dai campioni dell’Uruguay, pescando Sansone e Andreolo. E via, con un elenco incredibile di fuoriclasse: Fedullo, Puricelli, Ferrari, Cappello, Pivatelli, Mike. Per finire – trent’anni dopo – con “Aler”, come chiamava lui Helmut Haller.
Era cresciuto a pane e lavoro fino a diventare Commendatore della Repubblica Italiana, Dall’Ara. E forse per questo, se intravedeva in un suo giocatore lo stimolo a farsi una cultura, lo pungolava.
Lo fece con Bulgarelli, e dopo il diploma lo convinse a iscriversi a Giurisprudenza nonostante Giacomino avesse ormai scelto la strada del pallone, ricordandogli i rimpianti che lui, cresciuto in una famiglia in cui lo studio sarebbe stato un lusso, aveva avuto per il resto dell’esistenza.
A tu per tu con Angelo Moratti…
Andò avanti trent’anni, dal ’34 al ’64. Con i suoi “Sine qua non”, i suoi “Io a lei non ci diciamo proprio niente” rivolto ai giornalisti, la sua conduzione della società accorta e al tempo stesso accentrata.
Portò il Bologna allo spareggio del 7 giugno 1964, a giocarsi lo scudetto con l’Inter regina d’Europa, ma quel giorno Dall’Ara non c’era più.
Mercoledì 3 giugno, nella sede della Lega Calcio, i presidenti di Bologna e Inter, Renato Dall’Ara e Angelo Moratti, discutono i premi-partita alla presenza del presidente della Lega, Giorgio Perlasca.
Dall’Ara ha il cuore malandato e lo sa, è salito a Milano accompagnato dalla moglie, che fino all’ultimo aveva tentato di dissuaderlo, e dal medico di fiducia.
Si fa prendere dalla discussione, si infervora e, improvvisamente, si accascia. Infarto fulminante.
I suoi ragazzi, tre giorni dopo, gli faranno l’ultimo regalo battendo per 2-0 i nerazzurri all’Olimpico…