Reinaldo Filisbinho Lela e Joao Carlos Lopez
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Porte scorrevoli
L’attimo fuggente, il bivio, la coincidenza, insomma chiamateli come volete, ma nello sport, come nella vita, ci sono momenti in cui si decide un destino, attimi nei quale tutto può essere in un modo oppure in un altro: un contratto, una giocata, un intreccio di trattative e via discorrendo, per una strada che anni dopo ti accorgi poteva essere un’altra…
El Gringo, Jair e le “nuove proposte”
Molto prima dell’avvento di tale Ventura Giampiero, l’Italia azzurra attraversò un periodo calcistico che definire nero sarebbe eufemistico.
Un certo Pak Doo-ik infilò nella porta azzurra (durante un apparentemente scontato Italia-Corea del Nord) qualcosa di più che una spina, una trave nell’occhio che ci costò l’eliminazione dai Mondiali del 1966 e l’ira di una Federcalcio già allora incapace di guardarsi allo specchio.
Effetto immediato fu la chiusura delle frontiere al mercato estero: chi c’era restava (se voleva) e nessuno arrivava più! Sergio Clerici è stato l’ultimo della legione straniera a mollare la presa. Brasiliano giunto in Italia nel 1960 per aiutare i blucelesti del Lecco a mantenere la massima serie, si è pian piano guadagnato la fama di affidabile centravanti nel calcio nostrano Anni 70.
Sette anni a Lecco, poi il via per un tour che ha toccato le piazze di Bologna (in due riprese), Bergamo, Verona, Firenze, Napoli e Roma sponda biancoceleste, il tutto per un totale di 476 partite e 155 gol in un’epoca nella quale con 15/18 reti si vinceva la classifica marcatori.
Allenatore-procuratore
Smessi i panni del bomber, al termine della stagione 1977-78 El Gringo torna a casa, dove tenta l’avventura da allenatore: Palmeiras, Santos e Inter de Limeira sono le tappe di una strada quasi subito abbandonata per dedicarsi più alla procura dei giocatori e alle segnalazioni agli amici italiani nel frattempo riabilitati (1980) dagli organi federali ad acquistare sul mercato straniero.
Nell’ambiente, Clerici è un nome di sicuro affidamento, e lui non si fa certo pregare per offrire ai mercanti della pedata affari d’oro a prezzi vantaggiosi; ha dalla sua il nome di Juary, consigliato all’Avellino nell’estate 1980 e rivelatosi poi un ottimo acquisto per i lupi di Patron Sibilia, e proprio sulle orme di quell’operazione porta in Italia, tra gli altri, un altro funambolo brasiliano sul quale giura a occhi chiusi asserendo a più riprese che presto arriverà alla Nazionale verdeoro: Reinaldo Filisbinho Lela…
Il “ragazzo del Gringo”
Questo ragazzone giunge in Italia nel periodo pasquale, la Serie A “stacca” dal 5 al 17 aprile 1982 e le sue protagoniste si tengono in forma con amichevoli programmate che servono anche a testare i possibili futuri acquisti, soprattutto esteri.
La Lega ha appena approvato la possibilità di tesserare il secondo straniero e molte società fremono per l’occasione. Sibilia non vuol certo prendere una fregatura, così fa testare il “ragazzo del Gringo” in un paio di amichevoli da mister Tobia, che da poco ha preso il posto di Vinicio.
Lela vanta un curriculum discreto, agli esordi da giovanissimo con la maglia del Noroeste ha aggiunto un ottimo campionato nell’Inter de Limeira, dove sotto i consigli di Clerici ha siglato ben 8 reti in sole 13 presenze, in più conta una breve esperienza nella Nazionale olimpica verdeoro che non guasta a livello di presentazione.
Ad Avellino trova Juary, che gli fa da cicerone nel paio di amichevoli in cui Lela viene impiegato, con il Rimini gioca praticamente appena sceso dall’aereo, l’impegno non manca e la grinta neppure, lui allontana subito i paragoni che si porta appresso dal Brasile (qualcuno in lui vede un nuovo Jairzinho…), ma Tobia e Sibilia non paiono convinti, dalla sua c’è il fatto di giocare comunque in un contesto a lui sconosciuto.
Il miliardo che El Gringo chiede è un rischio troppo grosso per una realtà come quella irpina, così Lela torna a casa lasciando ai posteri qualche foto in biancoverde e nulla più. La sua storia proseguirà in patria tra Fluminense, Curitiba (con cui vivrà una parentesi quinquennale piena di gol e soddisfazioni) e altri club di minore importanza. Regalerà alla causa del calcio brasiliano i due figli Alecsandro e Richarlyson, e chissà se ha mai raccontato loro di quella “vacanza” in Italia…
L’indio di Jair
Come Clerici, anche l’altro brasiliano Jair poteva vantare grosso credito tra i dirigenti italiani: 200 presenze nella Grande Inter di Herreriana memoria gli avevano garantito gloria imperitura.
È così che nello stesso periodo di Lela arriva a Milano Joao Carlos Lopez detto Bugre, il quale, con la benedizione della Freccia Nera (soprannome del Jair nerazzurro), sogna di strappare un contratto con l’Inter.
Il 23enne centravanti ha esordito nel Noroeste per poi esplodere a suon di reti nel Comercial de Mato Grosso, dove Jair lo ha svezzato. Bersellini lo prende in carico e lo getta nella mischia in un’occasione particolare, il 14 Aprile, quando a San Siro è di scena una mista Milaninter opposta alla Nazionale peruviana che si sta preparando al Mundial spagnolo.
Il peperino brasileiro viene schierato dall’inizio e ben si comporta, sfruttando le giocate di Beccalossi e colpendo un palo a seguito di una punizione calciata da distanza siderale. Niente male, come prima impressione.
Bugre lascia poi il segno in un Vigevano-Inter, siglando una delle sei reti con le quali i nerazzurri si aggiudicano l’amichevole, ma l’accordo con la Beneamata non va in porto e l’attaccante brasiliano torna in patria, alternando annate tra squadre di seconda fascia ed esperienze in Portogallo con Leiria, Beira Mar e Argus…
E chissà se sente ancora tremare quel palo di San Siro…