Notte rosa sembra esplosa
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Notte rosa sembra esplosa
Fuori da ogni buonismo d’accatto: la gente parla, e questo è il cancro che ammorba il nostro mondo. Parla di tutto, parla per sentito dire, parla “di pancia” (un tempo erano scoregge), parla “di cuore” (e mai un infarto…), parla per convenienza, parla per convinzione, parla perché bisogna parlare, in definitiva.
Abbiamo tutti una tastiera e una connessione più o meno affidabile, e questo ci fa credere che abbiamo diritto di parola. Ai miei tempi (ma sì, cazzo, si stava meglio quando si stava peggio) si diceva “Quando parlano i grandi, i piccoli in silenzio”. Sarà che non ci sono più i Grandi (e quelli che ci sono hanno cose più importanti da fare), sarà che siamo tutti terribilmente piccoli, dietro i nostri schermi, che parliamo tutti.
Da Cestani a Marani
Ero giovane, ero stato cresciuto a pane e calcio, mi ritrovai a fare il giornalista. Il mondo del calcio, si sa, è quell’enorme bugia che purtroppo prevede le partite. D’estate ascolti discorsi che solo i politici potrebbero inventarsi, poi le squadre vanno in campo e fai la conta delle cazzate che avevi ascoltato.
È un gioco, o almeno dovrebbe esserlo, ci sta. Ma se il gioco gioca con se stesso, possono diventare cazzi acidi. Una quarantina d’anni fa, conobbi un buon uomo, Ugo Cestani, ragioniere come mio padre ma che di mestiere faceva il presidente della Lega di Serie C.
Artemio Franchi, l’uomo più potente del calcio mondiale fino alla sua scomparsa, l’aveva messo a capo delle 108 (!?!) squadre semiprofessionistiche di Serie C per tenere monitorata una situazione ridicola, dove piccoli club giocavano a fare la Juve o il Milan e poi saltavano per aria come botti di mezzanotte.
Il compito di Cestani, dunque, era quello di limitare i danni. Decisioni? Quelle che prendeva erano mirate. «Come ha detto Franchi…» era l’incipit di ogni intervento ufficiale, decisivo. La Serie C era un piccolo serbatoio del calcio professionistico, ma di professionistico – dalla qualità del gioco alle infrastrutture – aveva niente.
Poi, una decina d’anni fa, la Lega di Serie C è diventata Lega Pro: che cosa è cambiato, oltre alla denominazione? Non potendolo più chiedere a Cestani, comunque incolpevole del cambio, potete chiederlo a Matteo Marani, l’attuale presidente.
Matteo è un amico, gli auguro tutto il bene di questo mondo, ma sfogliando le cronache mi sembra che i problemi – dalla qualità del gioco alle infrastrutture – siano gli stessi, solo un po’ più pesanti da gestire perché siamo in ambito professionistico e non semiprofessionistico come un tempo.
La “rivoluzione silenziosa”
Arriviamo alla notizia del giorno: la Nazionale di calcio femminile è stata sbattuta fuori dai Mondiali dopo aver perso 3-2 contro il Sudafrica ed essere stata ridicolizzata dalla Svezia.
Beh, che problema c’è? Senza voler disturbare il Vate di Fusignano e la sua Cultura della Sconfitta, perdere – da sempre – è una delle tre opzioni che ti offre il calcio. Invece, apriti cielo!, leggo e ascolto commenti da disastro nucleare, a cominciare dalle invettive rivolte verso il Ct, Milena Bertolini, che prova a difendersi: «Spiace molto perché abbiamo lavorato duramente in questo periodo per passare il girone e non ci siamo riuscite. Non credo che mancasse l’intesa al gruppo, probabilmente è nata un po’ di paura e i 5 gol subiti contro la Svezia ci hanno tolto delle certezze. Non ho rimpianti, sono convinta delle scelte che ho fatto: questa Nazionale ha un buon futuro, questo Mondiale è servito a far crescere giocatrici che ci troveremo in futuro. Il mio futuro? Non ha importanza, quello che conta è il futuro del movimento. Spero di aver lasciato un’eredità con questa squadra giovane che ha fatto un’esperienza importante».
Insomma, povera Bertolini: fino a quindici giorni fa era una maga, oggi invece si ritrova con il magone.
Per capire il motivo del voltafaccia generale, sono andato a recuperare un articolo comparso poco più di un anno fa sul quotidiano più importante d’Italia, il Corriere della Sera, firmato da una valente collega, Gaia Piccardi: “La rivoluzione silenziosa comincia oggi, venerdì primo luglio 2022. È una data che lo sport italiano al femminile non dimenticherà perché segna lo storico passaggio di status delle calciatrici: da dilettanti a professioniste, cioè meritevoli – fuori tempo massimo per la logica, ma meglio tardi che mai – di considerare il pallone un vero lavoro e non un passatempo iniettato di (sovente miseri) rimborsi spese.
Ma come avviene, concretamente, il salto di qualità del calcio donne nostrano ben in anticipo sulla data di inizio del prossimo campionato di Serie A (27 agosto)? Con la firma congiunta tra assemblea dei club di A e sindacati di un nuovo contratto collettivo di lavoro, traguardo importantissimo e storico, una conquista fondamentale, sul cui modello andranno riscritti, da parte delle società del massimo campionato, tutti gli accordi con le giocatrici.
Assicureranno i diritti inalienabili di base, che conferiscono dignità a qualsiasi lavoratrice: malattia pagata, tutele infortunistiche, diritto al mantenimento del posto dopo incidenti di gioco e maternità, contributi per la pensione.
Sembrano conquiste scontate, nel 2022: beh, per le giocatrici di calcio italiane (fuori dalla realtà dei grandi club mutuati dopo la riforma Lotito-Uva dalle società maschili: cioè Juve, Milan, Inter, Roma e pochi altri) non lo erano. Le calciatrici non guadagneranno come i maschi, ma avranno le stesse tutele (…) La rincorsa è stata lunga (i quarti inaspettati dell’Italia al Mondiale 2019 le hanno dato un impulso decisivo), ma valeva la pena di spolmonarsi dietro l’ottenimento di un cambiamento così sostanziale per il diritto e la quotidianità delle cose.
Il professionismo promesso e mantenuto dal numero uno della Figc Gravina nonostante la melina di qualche presidente di A (i soliti noti) avrà ripercussioni su tutto il movimento femminile, a cominciare dall’Europeo che sta per cominciare.
«Sono emozionata, si tratta di un giorno importante – fa sapere la c.t. Milena Bartolini –. Gli effetti a lungo termine li vedremo sulle giovanissime, finalmente messe in condizione di allenarsi con una qualità che anni fa non esisteva». (…) Il campionato 2022-2023, il primo professionistico dello sport italiano, accoglierà la rivoluzione mutando pelle: dieci squadre, poule salvezza e poule scudetto.
Donne garantite dal codice civile e dallo statuto dei lavoratori, finalmente. Un gol attesissimo. Fin qui, il più bello”.
Le quote rosa
A scanso di equivoci: non ho recuperato l’articolo della collega per dileggiarla o altro (quasi tutti erano felici per l’esito positivo della “rivoluzione silenziosa”), ma solo per capire meglio.
Dunque, le calciatrici che fino al 30 giugno 2022 erano atlete dilettanti, al passaggio di mezzanotte sarebbero diventate professioniste (la zucca di Cenerentola, se ricordo bene, funzionava al contrario).
Avrebbero avuto i contributi pensionistici, ma nessuno avrebbe insegnato loro a giocare a calcio.
Perché – uomini o donne il discorso è uguale – o nasci Maradona o nasci Ficcadenti. Se nasci Maradona, sei a posto comunque; se nasci Ficcadenti, invece, diventi un calciatore professionista a forza di sbadilare palloni in mezzo a un campo, con il sole o con il fango, possibilmente confrontandoti con colleghi più dotati di te, in modo da imparare attraverso il loro esempio.
Negli Stati Uniti, dove il soccer provano a trapiantarlo da una sessantina d’anni, il movimento femminile è all’avanguardia da sempre, mentre quello maschile solo ultimamente dà qualche segno di vita. Perché la trafila può essere solo quella: prima inizi a giocare (e le bambine, negli States, fanno la fila, per giocare), ti fai il culo sul campo e poi ottieni un contratto da professionista.
In Italia, al di là di qualche caso isolato, il livello del calcio femminile è scadente, perché i genitori italiani non hanno mai pensato di mandare le figlie a rischiare i menischi e le hanno invece dirottate verso piscine e palestre. Tutto qui.
Morale della favola, in Italia abbiamo fatto i contratti e poi speriamo che arrivino le calciatrici.
Come in politica, dove con la Legge sulle Quote Rosa, n. 120 del 2011, prima si è fissata la quota al 20% delle donne presenti in lista, innalzata al 30% nel 2015, mentre un emendamento alla legge di bilancio 2020 ha elevato la quota di genere a 2/5 per i C.D.A. e i collegi sindacali delle società quotate. Vi saluta la Santanchè.