Nino Nunziata – e se l’Italia vince il mondiale?
Il tempo di lettura dell'articolo è di 5 minuti
Sono figlio di direttore sportivo, quindi – terminato l’allattamento – sono stato nutrito con pane e pallone.
Dalla mia postazione privilegiata, ho conosciuto un sacco di gente. Per dire: da bambino, giocavo a figurine con Fulvio Bernardini; da ragazzino, giocavo a scopone scientifico (e a bestia, e all’ippodromo, e a tanto altro…) con Bruno Pesaola; da giovane adulto, entrai in sintonia con Fabio Capello (che per voi era la seconda voce di Luigi Colombo a TeleMonteCarlo, ma io sapevo – grazie a mio padre – che sarebbe diventato un grande allenatore) e Arrigo Sacchi (che per voi era l’ex scarparo che allenava il Rimini in C, ma io sapevo che era il fiore all’occhiello di Italo Allodi, e Allodi non ha mai puntato sul cavallo sbagliato).
Poi ho frequentato tanti altri tecnici, non solo per motivi professionali, e soprattutto tanti calciatori, che erano giovani come me (più o meno) e che poi sono diventati a loro volta allenatori, perché nel mondo più che altrove chi nasce tondo non muore quadrato. Già sapete dell’amore che mi lega a Roberto Mancini, ma la nostra è una coppia… aperta, tant’è vero che stanotte ho fatto le ore piccole per vedere all’opera un altro dei “miei” ragazzi che ha fatto strada, Nino Nunziata.
Nino Nunziata: “chi era costui?”. Domanda legittima, se pur amando questo sport non siete mai andati oltre le prime pagine dei giornali. Perché Nino, in prima pagina, non c’è mai stato. E che non ci sarebbe mai andato mi fu chiaro nel momento in cui lo conobbi.
Eravamo a metà degli anni Ottanta. Il Guerin Sportivo venne invitato a un torneo di calcio giovanile. In Sardegna. Alla Maddalena. Ricapitolo: d’estate, in quello che potrebbe essere il Paradiso Terrestre, centinaia di ragazzotti assortiti giocano a calcio e il mio direttore dell’epoca, Adalberto Bortolotti, mi invia in Sardegna. Ok, sono cresciuto a pane e pallone, ma ve l’immaginate un cazzaro Under 30 alla Maddalena, in un resort da favola, assieme a quella che sarebbe poi diventata l’ex donna della sua vita e però in quel momento non aveva il prefisso “ex”?
Sì, giocavano a calcio, ma che palle… Nonostante tutto, ero lì per lavoro e non persi una sola partita di quel torneo. Non chiedetemi chi partecipava alla kermesse e chi si aggiudicò il trofeo: informazioni cancellate da tempo.
L’unico ricordo pallonaro che mi porto dietro da quella vacanza di lavoro è questa: nell’Inter, che qualche anno prima aveva fatto vergognare Fraizzoli con il Mundialito Infantil in Argentina (storia lunga, andatela a leggere), notai due ragazzotti che secondo me avrebbero fatto carriera.
Il primo era un fighetto che giostrava da mezzapunta, piede destro da favola e intuizioni geniali: Fausto Pizzi.
L’altro sembrava Calimero, piccolo e sudatissimo perché mentre il fighetto incantava la platea lui teneva su – più o meno da solo – tutta la squadra, tamponando davanti alla difesa e rilanciando verso l’attacco: Carmine Nunziata.
Una volta tornato a casa, ne scrissi sul Guerino. D’altronde, uno mi sembrava la riedizione destra di Mario Corso, mentre l’altro era la versione nerazzurra di Beppe Furino: inevitabile che mi avessero colpito.
Lì per lì, fu Pizzi a salire subito in cattedra. Nino ci mise un po’ di più: d’altronde, chi fa il lavoro “sporco” spesso viene sottovalutato dagli stolti.
Non era stolto Pierone Aggradi, il diesse del Padova, sui campi della C lo notò e lo vestì di biancoscudato. In quegli anni, mi avvicinai per motivi professionali alla città del Santo e così, d’incanto, me lo trovai silenzioso leader di una squadra magari piccola ma irripetibile, ed ebbi modo di apprezzarlo pure fuori dal campo.
Oggi Nino è il Ct della Nazionale Under 20, che stanotte – strapazzando una Colombia ricca di talenti – ha ottenuto l’accesso alla semifinale del Mondiale in Argentina. Non conosco i suoi ragazzi, ma li ho visti giocare: riflettono in campo il carattere del loro allenatore.
I bookmakers, gente che non ha amici e bada al sodo, avevano eletto i sudamericani favoriti. Dopo una mezzoretta, lo confesso, mi sono detto che potevo spegnere il televisore, che tanto Nino aveva già asfaltato la Colombia: 2-0 e nessun calo di tensione che potesse permettere ad Asprilla (non è parente di Faustino ma ha “numeri” eccezionali) e compagni di riaprire la partita.
Sono rimasto al mio posto, mi sono goduto pure il terzo gol “alla Mancini” (di tacco) di Esposito, l’inutile gol colombiano. Insomma, sono arrivato sino alla fine perché speravo di ascoltarlo al termine della partita. Macché: nessuna intervista (il collegamento internazionale costa…). Come ai bei tempi. Come sempre.
Perché chi nasce tondo non muore quadrato e chi nasce Nunziata non cerca i microfoni Rai (che pure, come detto, erano spenti…) perché è troppo impegnato a fare il suo dovere.
Vai, Nino, vinci il Mondiale e preparati, perché DOPO ti cercheranno tutti e magari ti toccherà di raccontare di quando ti facevi il mazzo mentre il fighetto di turno andava in gol…
Il tabellino del Quarto di Finale
Colombia – Italia 1-3
Reti: 9′ Casadei, 38′ Baldanzi, 90′ Esposito, 97′ Cortes
Colombia: Marquinez; Salazar, Mantilla, Alvarez, Ocampo (46′ Tanton); Puerta, Torres (69′ Cabezas); Manyoma (46′ Luna), Asprilla, Cortes (92′ Monsalve); Angel Gutierrez (84′ Castilla).
Ct: Cardenas.
Italia: Desplanches; Zanotti, Ghliardi, Guarino, Turicchia; Giovane (60′ Lipani), Prati, Casadei; Baldanzi (96′ Fontanarosa); Esposito (96′ Degli Innocenti), Ambrosino (69′ Montevago).
Ct: Nunziata.
Arbitro: Falahi (Qat) .