Mio padre il goleador, Renato Cattaneo
Il tempo di lettura dell'articolo è di 3 minuti
Il figlio di Renato Cattaneo, Umberto, ci racconta papà
Umberto Cattaneo ha il sorriso stampato sul volto, vestito elegante e porta i suoi novanta anni come se pesassero solo cinquanta; commenta foto d’epoca e non manca in ognuna di queste di indicare con il dito il volto di papà, e che papà: Renato Cattaneo, sua maestà del gol in grigio!
Dal grigio al giallorosso
Classe 1903, esordisce nell’Alessandria nel 1922 e ci mette poco per far conoscere a tutti le sue doti balistiche, associate a un ottimo fiuto del gol, di cui è in possesso; gioca, segna e dà spettacolo in Piemonte fino al 1935, poi accetta l’offerta della Roma per un biennio nel quale ha modo di firmare un doppio 1-0 nei due derby della stagione 1935-36.
«Papà decise entrambe le stracittadine di quella stagione, ricordo che ero piccolo ma già contagiato dall’entusiasmo che c’era attorno al calcio. I derby a Roma erano qualcosa di unico, noi vivevamo al Testaccio e dopo le prodezze papà fu portato dallo stadio a casa in trionfo! Per contro, fummo restii a uscire per qualche giorno: i laziali non l’ avevano presa bene…».
Combi la vittima preferita
Asti, un breve ritorno in grigio e Sanremo furono le altre tappe di una carriera chiusa con il record (tuttora resistente) di gol in maglia grigia, 146, e la soddisfazione di essere la bestia nera di Combi, il quale praticamente a ogni scontro doveva raccogliere almeno un suo pallone dal sacco!
«Con Combi, papà aveva un conto aperto: a ogni gara riusciva a segnargli almeno una rete. Forse giocò poco in Nazionale (solamente 2 presenze), ma Pozzo aveva le sue idee e comunque con la Francia segnò una rete dopo essersi fatto male. A quei tempi non esistevano le sostituzioni, così quella rete diede vita alla famosa leggenda del “gol dello zoppo”».
Un uomo speciale
Ricorda anche la rettitudine e la serietà che animavano Renato Cattaneo:
«Quando ebbi l’età giusta, iniziai a giocare a calcio anch’io, me la cavavo abbastanza bene tanto che venni inviato al Torino per un provino. Lì, tale Ussello mi squadró davanti a tutti ed esclamò: “Cattaneo, so chi è tuo padre, ma io non guardo in faccia nessuno!”. Capii che sarebbe stata dura; finii poi alla Valenzana, dove allenava papà, mi prese da parte e mi disse che non avrei mai giocato: “Lo sai poi che cosa direbbe la gente?”.
Nelle ultime gare si infortuna il titolare, ero un’ala come papà, e su pressione della dirigenza mi fa giocare… Vinciamo, gioco bene e segno un gol! A fine gara papà, imbarazzato, deve spiegare ai dirigenti perché mi ha tenuto sempre fuori e così gli dico “Papà, non vengo più perché sennò ti faccio fare delle figure così…”. Era un uomo davvero speciale».
Essere il figlio di Renato Cattaneo, ad Alessandria soprattutto, è davvero un vanto, e questo lo sa pure il nipote, Luca, che ha allestito una stanza di cimeli del nonno e chiosa così: «Lo avete reso l’uomo più felice del mondo, grazie davvero!».