Matteo Zaccherini, lo scudetto del Podestà
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L’intervista a Matteo Zaccherini
Con tre giorni d’anticipo rispetto a capodanno, come direbbe Orazio se frequentasse Capannelle, “Nunc est bibendum”, ora possiamo bere, o meglio brindare. A Bologna, dove lo stesso Orazio potrebbe frequentare l’Arcoveggio e concedersi pause estive al Savio di Cesena, si festeggia la conquista dello scudetto dei gentlemen drivers 2022. Matteo Zaccherini, 47 anni, si laurea Campione d’Italia staccando in classifica il più amico dei “nemici”, Filippo Monti, e il napoletano Ciro Ciccarelli.
Da tifoso del Bologna (calcio) e della Fortitudo (basket), se vuoi vincere uno scudetto devi farlo… in proprio. Quello 2022 che numero di scudetto è, per te?
«Questo è il quinto scudetto che riesco a portare a casa. Gli altri li avevo vinti nel 2010, nel 2011, nel 2015 e nel 2016».
Qual è stato il più difficile da vincere?
«Sicuramente quello del 2015, perché il titolo è rimasto in bilico fino a metà dicembre».
Nel tuo stato di famiglia compaiono una moglie, tre figli e… quanti cavalli?
«Attualmente una dozzina… In carriera sarò a quota 300 cavalli di proprietà: il massimo l’ho toccato negli anni 2010 e 2011, con una cinquantina di effettivi in servizio».
Come nasce la tua passione per l’ippica?
«Di solito ci si avvicina all’ippica per… genealogia, nel senso che è un familiare a farti scoprire il fascino del cavallo da corsa. Il mio è un caso a parte: ho sempre avuto un’attrazione quasi morbosa nei confronti dell’Arcoveggio sin da bambino, tanto forte quanto inspiegabile».
Hai un modello, tra i driver professionisti, a cui ti ispiri?
«Lo stile di guida è una cosa talmente innata e naturale che difficilmente ti consente di poter imitare qualcuno. Puoi far tesoro dei consigli e studiare le tattiche dei campioni, quello sì, e io ho la fortuna di conoscerne tanti, di “frustini d’oro”, che citarne uno solo sarebbe riduttivo».
Secondo l’opinione pubblica, quello degli ippodromi è un mondo sporco…
«Sarebbe ipocrita dire che il nostro mondo è privo di peccati, ma ti do la mia parola d’onore che il rapporto tra ciò che si pensa e ciò che in realtà è sarà di 1 a 100. Non farei cambio con le magagne che si nascondono in tanti altri sport, tra l’altro ben più pubblicizzati e “beatificati”».
Esistono le “dritte”? Come nascono?
«Mark Twain disse che “Non è bello che tutti si debba pensare allo stesso modo, è la differenza di opinioni che rende possibili le corse dei cavalli”. Le “dritte” aiutano a indirizzare un ragionamento, e sono uno dei motivi per i quali la scommessa ippica è – per distacco – la più gratificante ed erudita. Non la più remunerativa, purtroppo, perché la tassazione è troppo più alta rispetto alle scommesse sportive, tanto da renderla non competitiva e a tutti gli effetti addirittura sabotata».
Qual è stata, quest’anno, la vittoria più bella?
«Sicuramente quella ottenuta il 20 novembre con Looking Superb a Modena, non tanto per la difficoltà in sé, visto che ero netto favorito, ma per la qualità del cavallo guidato, un piazzato sul podio del Prix d’Amerique, la corsa più importante a livello europeo e una delle più importanti al mondo, privilegio capitato a ben pochi driver in carriera».
E in assoluto, qual è stata la vittoria più importante della tua carriera?
«Anche in questo caso andiamo a Parigi, sulla carbonella di Vincennes, e ti dico il Prix de Saint Claud, un vero e proprio campionato europeo per gentleman. Vinsi davanti a una decina di migliaia di persone con il cavallo Ramses du Vaudon. Era il 28 gennaio 2012».
La sconfitta che brucia ancora?
«Probabilmente la finale del Gran Premio Federnat a Napoli nel 2014, con la campionessa Linda di Casei, dell’allora emergente team Gocciadoro. Dopo aver vinto facilmente la batteria di qualificazione, in finale, da gran favoriti, causa anche un problema fisico, non fummo competitivi nonostante lo schema di corsa ci fosse venuto alla perfezione».
Il mondo dell’ippica è in stato comatoso da parecchi anni. Che cosa faresti, per riguadagnare il prestigio perduto?
«Riporterei la TQQ a ciò che era originariamente, cioè una scommessa popolare che elargiva vincite appetibili. Ne farei una alla settimana e solo di venerdì: un handicap equilibrato e di difficile pronostico. Dopo 4/5 jackpot, al primo montepremi milionario vedrai che si tornerebbe a parlare di corsa Tris anche nei bar e nelle tabaccherie, come si faceva fino a una quindicina d’anni fa».
Al di là della visibilità, onestamente non paragonabile, il Milan Campione d’Italia incassa dai suoi sponsor 56 milioni di euro. Matteo Zaccherini, Campione d’Italia gentlemen, ha qualche sponsor?
«Certo che sì. Ho uno sponsor storico, che è anche uno dei miei primi tifosi: Fausto, il proprietario dell’Osteria del Podestà in centro a Bologna. Con tutti i tortellini e le tagliatelle che mi fa mangiare non arriveremo ai 56 milioni di euro, ma non ci andiamo nemmeno troppo lontani, te lo assicuro!». E allora, se Nunc est bibendum, subito dopo andiamo a rifocillarci dal Podestà. Parola d’ordine: “Mi manda Zac”. Così, per vedere – di nascosto – l’effetto che fa…