Marino Perani Lo chiamavano Prezzemolino…
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L’ala dell’entusiasmo
L’immagine di ciascuno di noi dipende da due cose: i dati soggettivi e i dati oggettivi. Sul piano soggettivo, non esiste chi ha ragione e chi ha torto: tutti hanno diritto ad avere una propria opinione su un fatto, un luogo, una persona.
Prendete Marino Perani (Ponte Nossa, Bergamo, 27 ottobre 1939 – Bologna, 18 ottobre 2017), vecchia gloria rossoblù (e questo è un dato oggettivo): c’è chi ve lo dipingerà come un avaro impenitente e chi invece vi dirà che è un oculato amministratore.
C’è chi vi dirà che è un gran ruffiano e chi invece lo vorrebbe a occupare un ruolo di prestigio perché abilissimo nell’arte della diplomazia.
Insomma – che il buon Marino ci perdoni questo prologo – a livello soggettivo è vero tutto e il suo contrario.
Il fisico per quel ruolo…
Quando però si entra nel campo oggettivo, le chiacchiere stanno a zero: Perani, bergamasco d’origini e bolognesissimo d’adozione, è stato un ottimo calciatore.
Non un Campionissimo, d’accordo, ma uno di quegli elementi che ogni allenatore voleva nella propria squadra piuttosto che in quella avversaria. Marino non aveva un fisico da granatiere, ma possedeva decisamente il fisico per il “suo” ruolo, quello di guizzante ala.
Lui sulla destra a fare da alter ego a Ezio Pascutti, che giganteggiava sul lato opposto: Marino prendeva palla, irrideva gli altrui terzini, scendeva sulla fascia e piazzava al centro palloni invitanti che appunto Ezio e soprattutto Nielsen (il centravanti deputato) trasformavano in gol pesanti.
Era – quello – il tridente offensivo di un Grande Bologna, che nel 1964 fu capace di interrompere la dittatura degli squadroni metropolitani e di catturare uno scudetto che oggi appare quasi irripetibile.
Il volo dall’Atalanta
Marino era cresciuto nel fertile vivaio atalantino e con la maglia neroblù aveva debuttato in Serie A (10-3-1957, Palermo-Atalanta 3-1) quando non aveva ancora l’età per guidare un’auto.
Di lì a poco (estate 1958) venne ingaggiato dal Bologna: un anno a Padova (1959-60) per completare la maturazione, quindi il ritorno sotto le Due Torri per vivere una carriera da bandiera arricchita da uno scudetto, due Coppe Italia, una Mitropa Cup, una Coppa di Lega Italo-Inglese, un coinvolgimento (suo malgrado) nel caso doping (da cui uscì pulitissimo), 415 presenze (quinto rossoblù di tutti i tempi), 80 gol (tredicesimo cannoniere del calcio petroniano) e un numero imprecisato – per quanto altissimo – di assist.
Insomma, un big: e questo è un dato oggettivo.
Il piacere del risparmio
Per discutere il rinnovo del contratto con lui servivano nervi saldi e una buona dose di pazienza (parsimonioso? Esageratamente attaccato al denaro? Boh, qui torniamo nella soggettività…).
Dicono anche che nei mesi centrali della stagione si concedesse una piccola pausa atletica, centellinando il proprio impegno in vista del finale del campionato: le ultime dieci giornate le giocava ad altissimi livelli, così poteva sedersi al tavolo per il rinnovo con maggior forza contrattuale.
Narra la leggenda che quando il sole batteva forte, lui per dare il massimo aspettava che il Bologna attaccasse verso San Luca: in quel caso la fascia destra era all’ombra e di là – al sole… – faceva troppo caldo per poter dare il massimo.
È solo una leggenda, ma valeva la pena raccontarla per raccontare la storia di un giocatore che, dopo aver vissuto quindici stagioni con la maglia rossoblù addosso, per chiudere la carriera se ne andò addirittura in Canada.
Era il 1974: 38 anni dopo, Marco Di Vaio avrebbe seguito la stessa strada…
Pupillo di Allodi
Archiviata la parentesi nordamericana, Marino tornò in Italia per iniziare l’avventura da allenatore. Pupillo di Italo Allodi, il “papà” del Supercorso di Coverciano, una volta uscito dall’aula fiorentina non sempre seppe tradurre al meglio la sua teoria in pratica.
Luciano Conti lo volle ad allenare le giovanili rossoblù, poi nel 1979 lo chiamò al capezzale della prima squadra per sostituire Petisso Pesaola: il presidente capì ben presto che avrebbe dovuto dare ascolto a chi gli diceva che Perani non era ancora pronto per quel tipo di situazione e dopo neanche due mesi lo sostituì con un altro “pezzo storico” del club rossoblù, Cesarino Cervellati.
Il Bologna si salvò, Conti cedette il club e il nuovo proprietario, Fabbretti, decise di rimettere Perani sulla panchina rossoblù.
Marino portò a termine la stagione nel migliore dei modi (ottavo posto finale), anche se sul finire del campionato il Bologna rimase invischiato nello scandalo delle scommesse che costò cinque punti di penalizzazione da scontare l’anno dopo.
Con Radice allenatore, perché nel frattempo Perani si era trasferito a Udine, dando inizio a un piccolo Giro d’Italia che lo portò anche a Brescia, Salerno, Parma, Padova, Sanremo, Reggio Emilia, Ravenna e… Zola Predosa: all’Iperzola, nel 1998, Marino capì che forse il viaggio era giunto al termine.
Dopo una ventina d’anni, qualche esonero, qualche subentro, una promozione (Parma) e un paio di retrocessioni, di lui – nell’immaginario calcistico collettivo – era rimasto solo il ricordo della sua devozione al… prezzemolo, odorosa erbetta che faceva utilizzare in abbondanza dai cuochi delle sue squadre.
Troppo poco, per uno che da calciatore era stato un big: meglio ritirarsi a vita privata, a curare i propri interessi extracalcio nella “sua” Bologna e a continuare a seguire la squadra del cuore dalle poltroncine del Dall’Ara.