Ma vieni, Giancarlo!
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Giancarlo Baldi
Da sempre, Guccini ci spiega che, nella fantasia, “gli eroi son sempre giovani e belli”. E chi sono, io, per oppormi al Maestrone? Però, quando dalla fantasia ti abbassi di livello e arrivi al piano Terra, la regola gucciniana non vale più. Ieri, 23 dicembre, se n’è andato Giancarlo Baldi. Un eroe, per tutti quelli che amano le corse dei cavalli. Per me, addirittura di più.
Per me Giancarlo rappresenta il mito, il primo driver per cui ho “tifato”, neanche fosse una squadra di calcio. In casa mia, per quanto riguardava il calcio si faceva il tifo per la squadra del babbo e non c’erano dubbi. In campo ippico, invece, potevo scegliere. Avevo 10 anni, quando misi piede per la prima volta in un ippodromo.
Mio padre e mio fratello, forlivesi, stravedevano per William Casoli e la giubba nerogranata della Orsi Mangelli. Scelta legittima, per carità, ma chi tifa per Cavallo Pazzo contro il generale Custer non può appiattirsi su scelte facili. Fu così che – direi nel 1970 – scelsi Giancarlo Baldi, che fronteggiava lo squadrone di Anzola senza tentennamenti.
Mangelli era il più grande allevatore italiano, quell’anno il Derby a Tor di Valle lo doveva vincere con Tedo (e lo vinse), ma c’era quel rompipalle di Carosio, allievo di Giancarlino, che vendeva cara la pelle e allora il Conte Mangelli, che aveva già Tedo e Tadino, arrivò addirittura ad acquistare Akobo (lui che i cavalli li vendeva, non li acquistava mai…) dalla scuderia Kyra, per stare tranquillo, confermando alla guida Nello Bellei (fatto epocale, che la Sacra Giubba non fosse indossata da Casoli e Bongiovanni, il suo “secondo”).
Gli lasciammo il derby, io e Gianca, però ci togliemmo tante altre soddisfazioni. Ripenso a Barbablù, a Carosio, a Dalia, a Dosson, a Timothy T, a quella volta a Padova che Giancarlo portò al palo il suo cavallo pur essendosi lussato una spalla: nessuno come lui, mai avuto dubbi.
Il vagone nero
E mentre il magone – sì, il magone – continua a stazionarmi in gola, è bello rivivere la favola di Timothy T, il “vagone nero” che Gianca andò a comprare negli Stati Uniti. Da puledro, Timothy era stato un fenomeno. Poi, con il passare degli anni, vennero a galla acciacchi che ne fiaccarono lo slancio.
Gli americani non ebbero dubbi: carriera finita a 6 anni. Giancarlo convinse Bepi Biasuzzi, altro grande uomo di cavalli che l’ha preceduto nell’ultimo viaggio, ad acquistare Timothy T. “Male che va, sarà un grande stallone”. Arrivato in Italia, ops, come non detto: Timothy ha difficoltà a ingravidare le giumente…
A quel punto, o getti la spugna piangendo sui soldi versati, o sei… Giancarlo Baldi: che si mise al lavoro per recuperare alle corse il vagone nero. Dopo qualche mese – siamo tra il ‘73 e il ‘74 – Timothy è pronto per tornare in pista.
Il passo non è perfetto, perché quelle fratturine all’anteriore destro ogni tanto tornano a galla, ma il risultato è eccezionale: nel giro di un paio d’anni, Timothy T vince quello che c’è da vincere in Italia, poi allarga i suoi orizzonti e va a vincere Gran Premi in Francia, in Germania e soprattutto in Svezia: due Elitlopp vinti a Solvalla dal Vagone Nero, nel 1974 e nel 1975, in largo anticipo sulla doppietta messa a segno da Varenne (2001 e 2002).
Per chi vuole, 1974 e
1975 li trovate qui…
Quella volta, con Gibione…
Ma Gianca non era il mio idolo perché vinceva le corse importanti. Gianca era (fanculo: è) il mio idolo perché in tutte le guidate che faceva c’era qualcosa di magico. Un’estate a Cesena vinse una Tris impossibile, direi con Dorle (son passati cinquant’anni e il magone non agevola: abbiate pietà). Al gomito dell’ultima curva, Giancarlo era in pancia al gruppo, murato vivo, apparentemente impossibilitato a correre.
Ero seduto al ristorante con i miei genitori, Bruno Pesaola (all’epoca allenatore del Bologna) e sua moglie: a tutti avevo detto di puntare Dorle. Come per miracolo, a metà retta d’arrivo Gianca indovinò un paio di varchi che neanche Alberto Tomba nello slalom speciale, e sul palo piombò sul battistrada, battendolo di misura. Ricordo l’eccitazione: io e il Petisso che andiamo a premiare il mio mito.
Entrambi, va detto, tenendo in tasca il biglietto del cavalo vincente… E se devo scegliere una corsa che mi è rimasta impressa, allora scelgo una corsa per cavallacci di 4 anni.
Bologna, ippodromo Arcoveggio, non chiedetemi la data perché non ricordo. Corsa di minima, ma c’è anche Gianca. Parte con il numero 18, all’esterno della terza fila. Il cavallo si chiama Gibione. Io dico ai miei amici che si stanno scervellando che è inutile che perdano tempo, tanto vince Gibione. Mi guardano come si guarda un cretino.
Cavalli dietro le ali dell’autostart. Partiti. Ne succedono di tutti i colori, ma soprattutto succede quello che neanche un giancarliano di ferro come me poteva prevedere. Dopo 200 metri, all’uscita dalla prima curva, Gibione è al comando. Il resto non sto a raccontarvelo.
Vi racconto solo il grido all’ingresso in retta: “Ma vieni, Giancarlo!”. Lo stesso grido che farei oggi, se il magone non me lo impedisse…