Lo chiamavamo Inculetor
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Noi cavallari, nel parterre o in tribuna all’Arcoveggio, non lo chiamavamo più né per nome (Roberto) né per cognome (Andreghetti). Per noi, per tutti noi, era semplicemente Inculetor, il supereroe che quando pensi di aver vinto salta fuori da un tombino e viene a batterti, ma anche quello che quando pensi di aver perso utilizza lo stesso tombino per sbucare dal nulla e farti gioire nell’unico punto della pista in cui ha senso gioire, il traguardo. Non lo conoscevo personalmente, ma sono… cresciuto assieme a lui. All’inizio, sembrava la reincarnazione – in vita… – di Luciano Bechicchi, un altro che sapeva quando e come saltar fuori dal nulla per vincere.
Il parere di Tamberino
Un opportunista, proprio come il “Nano” di cui sopra, ma non solo. Alcuni anni fa, la tivù dell’ippica andò a intervistare Giancarlo Baldi, il mio idolo, il mio Maradona.
Tamberino – nomignolo alla toscana che forse gli fu affibbiato per il fisico non da corazziere – non ebbe dubbi: alla domanda “c’è oggi in pista un altro Giancarlo Baldi?”, ci pensò solo un attimo, forse per non mortificare il figlio Lorenzo, e poi – sorridendo – rispose «Roberto Andreghetti, un guidatore completo, senza lacune. Ha il senso del palo, in partenza sa sempre che cosa è meglio fare e se c’è da sostenere il cavallo in retta, lui usa le braccia più della frusta».
Detto da chi le sue braccia le ha usate per portare a casa cavalli sfiniti in tutte le piste del mondo, mi sembrò una laurea.
Ti ricordi Tisfattista?
Ne ha vinti tanti, di gran premi, e ne ha guidati tanti, di campioni, che neanche ci provo a ricordarli tutti. Ricordo solo un paio di femmine che mi hanno (anzi, sono sicuro, “ci hanno”) fatto arrabbiare e mi rivolgo direttamente a te, caro Incu.
La prima è Tisfattista, cavallona allenata da Holghersson (ricordo bene?) che tendeva a fermarsi in retta d’arrivo. Una volta, doveva essere la vigilia di Natale, all’Arcoveggio facesti il centrale con lei e io ti puntai a 1 e ½, che mi sembrava una rapina.
Di slancio al comando, poi a 100 metri dal palo la solita crisi: tu che salti sul sulky, sembri quasi prendere in braccio la cavalla, ma sul palo – puf – arriva un altro travestito da Incu e io straccio il biglietto.
E Rirì del Pitin?
La seconda mi porta a Modena, in notturna. È luglio, fa caldo, ma soprattutto io e i miei amici non prendiamo un cavallo. Siamo all’ultima. Arriva Fabio dalle scuderie: ha la notizia! Già, “di là” si è sparsa la voce di un lavoro favoloso di Rirì del Pitin, una cessa di quattro anni che non ha mai vinto una corsa, però stasera la guida Andreghetti… Io e i miei amici diamo l’assalto ai picchetti (che all’epoca c’erano ancora, al Ghirlandina…) e bombardiamo da 5 in giù, fino a farla diventare favorita. La corsa: scatta al comando Rirì del Pitin e nessuno riesce a impensierirla. All’imbocco dell’ultima curva, uno di noi – non scrivo il suo nome perché potrebbe andare a fuoco il server, per la sfiga che porta… – alza le braccia al cielo e, urlando la sua gioia, esclama «perché ne abbiamo giocato così pochi?». Forse addirittura non aveva ancora pronunciato l’ultima “i”, ma Rirì del Pitin fece quello che non avevo mai visto e mai più ho visto: girò su se stessa, in pratica tornando indietro e finendo squalificata. No, Incu, non l’abbiamo ucciso, il nostro sfigato compagno di viaggio. Ma se per caso ti stai ancora domandando che cosa sia successo, beh, te l’ho detto stasera…