C’ero Una Volta
Le Confessioni di Walter Zenga
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Lo so, è l’incipit (storpiato) di tutte le favole. Io non ho mai scritto una favola, non ho più l’età per le favole, ma una favola – professionalmente parlando – l’ho vissuta. Giornalista professionista da quarant’anni: insomma, qualcosa avrò pur fatto, e sto andando a sfogliare le pagine per recuperarne le tracce. Lo faccio sfruttando il regalo di Marco De Polignol, che si è preso la briga e di certo il gusto di catalogare Guerin Sportivo e Calcio 2000, le “case” che hanno ospitato la mia prima e seconda vita (già, ormai sono alla terza età…). Ogni settimana andrò a pescare in quel magico hard disk un pezzo di me (non c’è bisogno di aggiungere altro, please…), con la speranza di presentarvi una persona (non mi piacciono i personaggi) come ho avuto la fortuna di conoscerla io: senza filtri, solo un taccuino, una penna e tanta curiosità. Dice che la gente non ha più voglia di leggere: meglio così, la maggioranza penserà che si tratti di un inutile culto della personalità e tirerà dritto senza soffermarsi. Per gli altri, che saranno pochi ma mi auguro “buoni”, ecco a voi C’ero una volta…
Ultimo domicilio conosciuto: Tangerang, Indonesia. Che cazzo ci fa, Walter Zenga, a Tangerang? Il direttore tecnico del Persita Fc, club che milita nel massimo campionato indonesiano. Il trasferimento è avvenuto all’inizio di questa estate: Dubai, dove viveva da dodici anni con la moglie Raluca Rebedea e i due figli più piccoli (ne ha cinque, in totale, frutto di tre matrimoni), cominciava a stargli stretta. Ogni tanto, per la gioia di noi nostalgici, ci pensa Sky a riportarlo nelle nostre case, chiamandolo in collegamento dall’altra parte del mondo a commentare le vicende di casa nostra.
Il sorriso scanzonato, la battuta fulminea, l’eterna gioia di vivere: Walter è stato un grande fra i pali e lo è pure fuori. Per questa intervista, credetti mi avesse fatto uno scherzo. Era da poco terminato il suo primo matrimonio, con Elvira Carfagna, e lui non ebbe problemi a regalare al Guerin Sportivo il primo servizio da compagno ufficiale (dopo un po’ di… clandestinità) di Roberta Termali, che con lui conduceva Forza Italia su Odeon Tv. La sua Inter Campione d’Italia segnava il passo, cresceva la febbre da Italia 90, ma lui non perdeva il buonumore. Mi aveva dato appuntamento nel suo nuovo appartamento, in Via… Turati, esattamente di fronte alla sede del Milan. Non era uno scherzo. Era Walter Zenga…
Le Confessioni di Walter Zenga
«Non ho mai nascosto la mia simpatia per il Napoli e per i napoletani, quindi due anni fa mi trovai… venduto (a parole). In realtà il mio desiderio era quello di restare all’Inter e fui accontentato»
«Brontolo in continuazione, non mi va mai bene niente, mi lamento anche per le cose minime: è la mia maniera di arrivare al massimo, di migliorarmi»
«Lo sfogo di Pellegrini? Il presidente doveva richiamarci prima: lo avesse fatto in dicembre, tanto per dire, probabilmente avrebbe ottenuto ben altri risultati»
«Se fossi alla Juve, al posto di chi deve decidere, ci penserei parecchio prima di cambiare l’allenatore: i risultati sono clamorosamente dalla parte di Zoff»
«Cosa succede se mi telefona Berlusconi? È difficile dire di no al Dottore. Se poi mi propone un contratto per cinque anni e mi tiene in… naftalina come ha fatto con Pippo Baudo, è il massimo»
«Quando giocavamo nell’Under 21 non eravamo assillati dal dover vincere a ogni costo, oggi è tutto più difficile e anche un pareggio in Olanda può scatenare assurde polemiche»
Felino nei movimenti e battagliero per natura, Zenga è la Pantera del calcio italiano. Severo con se stesso e con gli altri, raramente banale o evasivo, Walter ha accettato volentieri questa chiacchierata a trecentosessanta gradi. L’Inter e il Milan, la Juve e la Nazionale, il rapporto con il sindacato e quello con i giornalisti, i problemi “domestici” e quelli “mondiali”, i sogni per il futuro e uno sguardo al passato: questi i temi affrontati con la solita sincerità e l’altrettanto solita simpatia, ma soprattutto senza falsi pudori. Perché, sia chiaro, la Pantera osa…
Cominciamo dal Milan?
«Grazie».
Che cos’è il Diavolo, per Walter Zenga? Un incubo, un esempio, magari un sogno o che altro?
«Abito a duecento metri dalla sede rossonera, diciamo che ho rapporti di… buon vicinato, con il Diavolo. I successi o gli insuccessi del Milan non hanno il potere di cambiarmi la vita. Per me è semplicemente una delle “altre” diciassette squadre e quando gioca in Coppa dei Campioni può contare anche sul mio tifo».
Che cosa ruberesti ai “cugini”?
«L’organizzazione. Dall’esterno tutto sembra perfetto, efficiente».
Come ti immagini Sacchi?
«Dev’essere un tecnico tipo Trapattoni: scrupoloso, meticoloso, di quelli che non lasciano niente all’improvvisazione».
Tu accetteresti il turn-over che ha imposto a Galli e Pazzagli?
«Per niente al mondo. Il portiere deve avere la necessaria tranquillità, deve sapere chi è il titolare. Domenica gioco io, mercoledì gioca lui? No, per carità».
Se dipendesse da te, chi giocherebbe?
«Io punterei a occhi chiusi su Galli. Non perché Pazzagli sia scarso, è che Giovanni a Milano mi sembra che sia rinato».
Un paio d’anni fa avresti accettato le avances del Napoli perché «volevi vincere». Uno scudetto ti ha… calmato?
«A quell’epoca avevo lo svincolo dalla mia parte e potevo decidere di andare dove volevo. Non ho mai nascosto la simpatia che provo per il Napoli e per i napoletani, quindi fu facile “vendermi” (a parole). In realtà il mio desiderio era quello di restare all’Inter e fui accontentato. Se uno scudetto può bastare? Certo che no: io mi aspetto grandi cose, per l’anno prossimo».
Intanto, quella 1989-90 è una stagione da buttare…
«Non sono d’accordo, anche le esperienze negative insegnano parecchio. Nel nostro caso, abbiamo fatto un esame di coscienza e siamo riusciti a capire dove avevamo sbagliato ».
I tuoi errori quali sono stati?
«Sono un uomo, ovvio che anch’io sono responsabile di quanto è accaduto. Ma argomenti del genere è meglio che vengano discussi all’interno dello spogliatoio…».
Se tu fossi un allenatore sopporteresti Zenga?
«Io brontolo in continuazione, non mi va mai bene niente, mi lamento anche per le cose minime: è la mia maniera di arrivare al massimo, di migliorarmi. Se mi sopporterei? Lo faccio da trent’anni con buoni risultati…».
Ernesto Pellegrini sembra una persona piuttosto tranquilla e riflessiva. Una ventina di giorni fa, però, ha perso la pazienza: cosa gli è capitato?
«Tutti i buoni, quando decidono di arrabbiarsi, diventano tremendi. Il presidente ha fatto benissimo a dire quello che ha detto, ne aveva tutto il diritto: semmai avrei preferito che ne avesse parlato prima con noi e poi con la stampa, non viceversa».
Quello sfogo è arrivato al momento giusto?
«A mio avviso Pellegrini doveva richiamarci prima. L’avesse fatto in dicembre, tanto per dire, probabilmente avrebbe ottenuto ben altri risultati».
Trapattoni, che invece è piuttosto sanguigno, ha paradossalmente mantenuto la calma…
«Solo in apparenza, perché il Trap è arrabbiatissimo: non si può gettare al vento a quel modo la possibilità di rivincere il campionato».
Fuori dal giro-scudetto, fuori dalla Coppa Italia, fuori dalla Coppa dei Campioni: che cosa ti brucia maggiormente?
«L’eliminazione dalla Coppa Italia. Ad Ascoli capiranno, ma farsi strapazzare dall’ultima in classifica è stato veramente troppo».
Qualcuno sostiene che l’Inter è dilaniata dai clan…
«Ci fossero stati i clan, e quindi un certo tipo di clima, non avremmo perso alcune partite. Quello che ci è mancato è stato proprio un pizzico di cattiveria, altro che storie».
La vicenda dei premi vi ha messo in cattiva luce, agli occhi degli sportivi…
«Era una cosa morta e sepolta da tempo. Il nostro errore è stato quello di non fidarci del presidente: fossimo arrivati anche quinti, ma giocando a buoni livelli, Pellegrini ci avrebbe ugualmente corrisposto i premi. E poi la faccenda è stata montata, nessuno ha voluto capire che questa iniziativa era partita solo per aiutare i giovani e quelli che guadagnano meno».
Morale della favola: i soldi arriveranno oppure no?
«E vuoi che dopo le figuracce che abbiamo rimediato ci diano anche un bel premio?».
Ipotesi: i calciatori stanno tirando troppo la corda, sotto il profilo economico.
«In ogni squadra sono due o al massimo tre i “privilegiati”. In compenso, mi sai dire quanti sono i disoccupati? E quelli come Pasinato, che dopo un incidente si trovano immediatamente in mezzo a una strada? E quelli come Schiavi, che rimangono in ballo quattro anni prima di tornare a giocare? Smettiamola di avere una visione parziale della realtà».
Il tuo rapporto con il sindacato?
«Buono. Il 9 aprile parteciperò all’assemblea in programma a Milano e cercherò di dare il mio contributo».
Tu con Campana hai trovato anche modo di litigare…
«Non mi era piaciuto quello che aveva detto in una certa occasione e gliel’ho fatto notare. Avere opinioni diverse, comunque, non significa essere in guerra. E bello confrontarsi, spiegarsi…».
Voltiamo pagina e parliamo della Juventus. Boniperti ha passato la mano e stanno succedendo molte cose, in Piazza Crimea. Tu che cosa ne pensi?
«Sono sicuro che la Juve farà le cose in grande, un colosso come la Fiat non si muove per niente. Già quest’anno, pur essendo criticati da tutte le parti, i bianconeri hanno fatto un’ottima figura: se tanto mi dà tanto…».
Zoff, però, sta per andarsene…
«Se fossi al posto di chi deve decidere, ci penserei parecchio prima di cambiare l’allenatore: i risultati sono clamorosamente dalla parte di Dino, mi sembra…».
A proposito di Juve: la tua convivenza azzurra con Tacconi come va?
«Direi bene, dopo che Stefano due anni fa aveva addirittura chiesto a Vicini di non convocarlo più. È giusto che ognuno aspiri a giocare, l’importante è non pestarsi i piedi. E noi non ce li pestiamo».
Al suo posto che cosa faresti?
«Non riesco proprio a immaginarmi nei suoi panni. Per saperlo, dovremo aspettare che Vicini dia la maglia numero uno a un altro».
I tuoi ricordi “mondiali”?
«Cominciano nel 1970, ovviamente con quella fantastica sfida fra Italia e Germania. Del 1974 ricordo solo la delusione che provai dopo l’eliminazione, mentre il ’78 segnò il mio debutto… ufficiale come tifoso. Poi, ovviamente, la sbornia spagnola, nel 1982: l’Italia che vince il Mondiale, io che torno all’Inter… Mi sembrava di vivere un sogno».
E così arriviamo all’”assaggio” messicano…
«Quella fu un’esperienza unica, eccezionale. Venivo da un’annata storta, l’Inter mi voleva cedere e aveva già contattato Terraneo. Bearzot mi convocò come terzo portiere e io ebbi modo di trascorrere più di un mese con Zoff: sarà stato un caso, ma nel campionato successivo feci cose incredibili, sembravo rivitalizzato».
I Mondiali sono alle porte: tu li “senti” già?
«Sì e me li immagino tremendamente difficili. La gente si aspetta moltissimo soprattutto da me, da Baresi e da Vialli: secondo i nostri tifosi siamo i leader della squadra, non possiamo deluderli».
La Nazionale ha parecchi problemi da affrontare e, possibilmente, risolvere: Baggio, Mancini, Marocchi, Schillaci…
«Ho fiducia in Vicini, sono sicuro che saprà mettere le pedine giuste al posto giusto».
Divertivate più come Under 21 che come Nazionale A: cos’è cambiato?
«Allora non eravamo assillati dal dover vincere a ogni costo, oggi è tutto più difficile e anche un pareggio in Olanda può scatenare polemiche».
Diplomazia a parte, chi è il giocatore che ammiri maggiormente o che comunque giudichi più vicino a te?
«Vialli, perché è fatto a modo suo. Anzi, a modo… mio: figurati che solo per imitarmi si è fatto fare una trasmissione su misura».
Chi è più matto, fra te e Luca?
«Forse io, però anche lui non scherza. È giovane, ha ampi margini di… peggioramento e se non si sposa può battermi».
Visto che ci dobbiamo fare i fatti degli altri: secondo te, perché non si sposa?
«Chissà, forse perché — essendo tirchio — ha paura della… comunione dei beni».
Ti piace nel ruolo di presentatore?
«Lui ce la mette tutta, ma non ha ancora la necessaria dimestichezza e soprattutto si limita ad annunciare dei servizi filmati. Però è bravo (bisogna dirglielo, altrimenti s’arrabbia)».
Hai mai invidiato un tuo collega?
«Tutti i mercoledì di coppa invidio i calciatori impegnati in sfide europee. Niente di grave: passerà…».
Prima di essere il portiere dell’Inter sei stato un tifoso interista: che cosa ti senti di dire, agli esagitati?
«Sono arrivato alla conclusione che è inutile dire qualcosa, a certe persone: chi è idiota, qualsiasi siano i suoi colori del cuore, idiota resta. Però, se permetti, tutto questo è anche colpa dei mass media».
Il solito ritornello?
«Ti faccio un esempio. Qualche giorno primà di Inter-Napoli, avevo rilasciato una lunga intervista al Corriere dello Sport. Nel mio piccolo, avevo invitato la gente a venire allo stadio tranquilla, per vivere un bel pomeriggio di sano sport. L’articolo, poi, si chiudeva con una scommessa che avevo fatto con Carmando: ‘“Vinciamo per 2-0”. Il titolo del giornale era ovviamente sul mio pronostico, non sull’appello alla calma. Magari non sarebbe servito, però era il caso di provarci sacrificando per una volta la “sparata” a tutti i costi. Invece…».
Come sono i tuoi rapporti con i giornalisti?
«Io ho un carattere particolare e con qualcuno non sono riuscito a legare. Comunque è solo colpa mia, sia chiaro».
AI lunedì leggi le pagelle sui giornali?
«Le leggo tutte, purtroppo. E la cosa bella è che quasi sempre mi trovo in disaccordo con i giornalisti. La mia impressione è che ci siano dei giocatori fin troppo bistrattati. Prendi Bianchi: gioca bene, in funzione della squadra, e al massimo arriva al 5,5».
Non sarà una questione di antipatia…
«Il fatto è che verso certi calciatori, i critici sono prevenuti. Magari uno sbaglia qualche partita all’inizio e anche se si rimette in carreggiata i giudizi restano negativi per tutta la stagione».
Hai l’opportunità di fare… giustizia. A te la penna: dai i voti ai giornalisti.
«Prima dell’Europeo, io e qualche mio compagno ci abbiamo provato. Era un gioco, ma qualcuno non lo capì e lo scherzo per poco non si trasformò in tragedia. No, meglio lasciar perdere».
Tu e le donne: si è tornato a parlare di dolce vita…
«Certe accuse non mi sfiorano neppure. Ho 30 anni e non posso più fare lo stupido».
Quindi, in passato…
«Sì, ho fatto delle stupidaggini. Chi non le ha fatte, a vent’anni?».
Come te la cavi, con i tuoi figli?
«Nicolò ha tre mesi e comincia adesso a darmi le prime soddisfazioni. Con Jacopo è un po’ più difficile: lo vedo una settimana al mese e questo complica maledettamente le cose. Credo sia un problema di tutti i padri separati».
Jacopo ti ha già chiesto “perché”?
«Me l’ha chiesto e gli ho risposto con la massima sincerità, non voglio prenderlo in giro raccontandogli favole. E chiaro che ha solo tre anni e mezzo e non è facile fargli capire certe cose».
Ha accettato il fatto che suo padre vive lontano da sua madre?
«Penso di sì. Roberta per lui è un’amica, non le ha creato problemi. È più difficile spiegargli che Nicolò è suo fratello, anche perché qualcuno mi mette i bastoni fra le ruote dimenticando che fa del male al bambino, non a me. Insomma, con Jacopo sono costretto a remare contro corrente, ma non mi pesa: per me, lui è troppo importante».
Parliamo un po’ di Roberta, la tua compagna: è riuscita a cambiarti oppure è stata costretta ad… adeguarsi?
«Domanda imbarazzante. Secondo me, è stata lei a sintonizzarsi sulla mia stessa lunghezza d’onda. Speriamo solo che non se la prenda, leggendolo…».
Che cosa ti ha insegnato?
«A essere più riflessivo. Prima contavo fino a tre, adesso arrivo anche a dieci…».
Sei bugiardo o diplomatico?
«Ogni tanto devi sfornare qualche bugia a fin di bene, non puoi essere sempre sincero. Diciamo che sono un diplomatico leggermente bugiardo».
Da “grande” farai…
«Il presentatore televisivo. La tivù mi diverte moltissimo e ha il potere di non stancarmi».
Soldi a parte, che cosa ti ha dato la televisione?
«Mi ha permesso di far conoscere l’altra faccia di Zenga. E poi, come ho detto, mi ha dato l’opportunità di crearmi un’alternativa per l’avvenire».
Se ti telefona Berlusconi, che cosa succede?
«Come si fa a dire di no al Dottore? Se poi mi propone un contratto per cinque anni e mi tiene in… naftalina come ha fatto con Pippo Baudo è il massimo».
E se oltre al presentatore gli interessasse il portiere?
«Ne sarei onorato, ma dovrei rispondergli che non posso».
Sarebbe così difficile passare dall’altra parte della barricata?
«Penso di sì. Se dovesse insistere, gli proporrei uno scambio con Franco Baresi: a quel punto sarebbe lui a dirmi no».
Zenga in tivù: sempre e solo calcio?
«No, vorrei fare un programma per i più piccoli, come quando lavoravo a “Pista” con Nichetti».
Ti piacciono parecchio, i bambini…
«Mi sembra di averlo dimostrato: ne ho già due…».
Per caso ne vorresti altri?
«Il mio sogno è una figlia: in casa Zenga nascono solo maschi, sarebbe ora di mettere al mondo una bella bambina».
Sei avaro?
«No, sono l’esatto opposto. Diciamo che sono quasi uno spendaccione».
Come preferisci spenderli, i soldi?
«Soprattutto in vestiti. Quando ho un’oretta libera prendo la bicicletta o la Vespa e vado a farmi un giro in centro: raramente torno a casa a mani vuote».
Che cosa ti preoccupa, in questo momento?
«I rally di Roberta. Neanche la maternità è riuscita a… fermarla e tutte le volte che corre ho il cuore in gola».
Perché non sali in macchina con lei?
«Un equipaggio Termali-Zenga? Dopo la prima curva, metto la freccia a destra e scendo. Nel mio piccolo, comunque, mi sto dando da fare: per cominciare, ho comprato la Lancia Delta 16 valvole».
C’è una cosa, anche una sola, che non rifaresti?
«Sbagliare con la testa degli altri. Per il resto rifarei tutto».
Il tuo piatto forte è sempre il risotto allo champagne?
«Ti dico solo una cosa: me la cavo meglio in cucina che in campo».
Buon appetito!