La storia e l’ipocrisia
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Una bella iniziativa, importante. Richiamare a Coverciano Giancarlo Antognoni, Roberto Baggio, Alessandro Del Piero, Gianni Rivera e Francesco Totti, nei giorni in cui si radunava la Nazionale di Spalletti in vista degli Europei, aveva scaldato i cuori di chi ama il calcio.
Non sapevamo, all’epoca, che quella era solo l’ennesima foglia di fico mostrata dal presidente federale, Gabriele Gravina, nel vano tentativo di dare un’impronta “propria” agli azzurri.
Aveva iniziato, il Gravina, questa operazione un annetto prima, smantellando – di fatto – lo staff che Roberto Mancini aveva voluto accanto a sé per riconquistare la stima e l’affetto dei tifosi, finalmente orgogliosi – dopo tanti anni – di seguire gli Azzurri.
Demolition man
Purtroppo se n’era andato Luca Vialli, che non era solo il Capodelegazione: era l’ideale completamento del Mancio, proprio come lo era stato in campo e in tutti i momenti della sua vita. Quel ruolo, Capodelegazione appunto, non raccontava il “peso” che Roberto aveva riservato all’amico di sempre.
Stupido pensare, dopo la sua scomparsa, di sostituirlo con un altro ex calciatore. La scelta cadde su Gigi Buffon, ma poteva essere chiunque: il solo pensare di sostituire Vialli è un’idiozia.
Ma c’è dell’altro. Nel giro di un mesetto, Gravina aveva di fatto azzerato lo staff del Ct, forse per evitare di continuare a essere il presidente federale della “Nazionale di Mancini”.
Il silenzio degli indecenti
Il 13 agosto – non mi va di aspettare l’anniversario per spiegare il baratro azzurro – del 2023, il Mancio si dimise, unica opzione concessa a chi si accorge che il proprio “capo” sta combattendo una guerra di potere personale (Gravina è già vicepresidente Uefa…).
Capitò anche a me, nel 1996: ero vicedirettore del Guerin Sportivo, il direttore era Domenico Morace. Gravina come “Ganassa”? Ci sta: e chi mi conosce sa che non è un complimento.
Torniamo alla Nazionale: Roberto si dimette e subito gli organi di disinformazione, sempre pronti a blandire il potente di turno, gli scatenano contro una tempesta di merda mista a fango.
Nessuno – beh, quasi nessuno… – cerca di capire perché sia successo questo terremoto; molto meglio vomitare sul Mancio la bile per il principesco contratto che l’Arabia Saudita gli fa firmare qualche giorno dopo. La cifra è altissima, come sono altissime le aspettative della federcalcio saudita, che va a ingaggiare il tecnico Campione d’Europa e lo tratta – appunto – da Campione d’Europa.
Il silenzio degli indecenti prosegue pure oggi, ovviamente: nessuno, in maggio, ha scritto – anche solo per inciso – che in quel gruppo di formidabili numeri 10 mancava il più importante, Roberto Mancini, che con le sue idee aveva portato l’Italia a vincere a Wembley, restituendo al nostro calcio una dignità che tre anni dopo pare un ricordo lontanissimo.
Detto questo, per chi a suo tempo non lo avesse letto sul Guerin Sportivo, eccovi l’unica intervista concessa dal Mancio poco meno di un anno fa, dopo le dimissioni. Dai, che non avete un cazzo da fare: leggetela…
IL CASO DELL’ESTATE
Pur in assenza di Mondiali ed Europei, la Nazionale ha riempito le nostre giornate sotto l’ombrellone. “Colpa” (o “merito”?) di Roberto Mancini, che si è dimesso il 13 agosto aprendo – di fatto – il nuovo corso di Luciano Spalletti. L’ex Ct, garbatamente, vorrebbe chiarire alcuni concetti prima di dedicarsi all’Arabia Saudita…
La posizione del dimissionario
di Marco Montanari
Ce ne stavamo tranquilli a sudare sotto i nostri ombrelloni, aspettando l’inizio della nuova stagione calcistica. Seguivamo stancamente il walzer delle punte, giudicavamo i risultati delle amichevoli e la parte ghiotta era rappresentata dai primi turni di Coppa Italia (slurp…). Poi, improvvisamente, lo choc: Roberto Mancini si dimette dal ruolo di Ct azzurro.
Chi lo stima e chi in passato aveva invocato il suo allontanamento, tutti insieme appassionatamente ci siamo ritrovati a parlare di Nazionale. Al posto del Mancio è arrivato Spalletti, che proprio in queste ore ha debuttato nel nuovo ruolo rinunciando al famoso “anno sabbatico” che intendeva concedersi, e tutto – nel grande frullatore del calcio italiano – ha ripreso consistenza.
Roberto avrebbe fatto volentieri a meno di scatenare il putiferio, risparmiandosi di leggere sentenze velenose basate sul niente, ma tant’è: non potendo cambiare il passato, l’unica cosa da fare è cercare di chiarirlo, soprattutto adesso che è iniziata la sua nuova avventura alla guida della Nazionale dell’Arabia Saudita (scadenza del contratto, ricchissimo ma non rivelato per evitare attacchi di bile ai contestatori, 2027)…
A ben guardare, sei riuscito in un’impresa titanica: tutti, ma veramente tutti, in questa bollente estate 2023 si sono interessati alla Nazionale, cosa che non è mai capitata in assenza di competizioni ufficiali…
«Capisco la battuta, ma ti assicuro che ne avrei fatto volentieri a meno».
Il presidente federale Gravina, quello che da anni promette riforme per convincere i club a dare fiducia ai giovani italiani (sigh…), è addirittura caduto dal pero: «Roberto non mi ha mai detto che voleva andarsene. È stato un fulmine a ciel sereno». Come se le dimissioni dovessero essere prima annunciate e poi formalizzate…
«Non commento quanto hanno detto altri».
Legittimo, anche per evitare il rischio di bassezze come quelle che ti sono state lanciate contro. Atteniamoci ai fatti: Evani è andato via (costretto a farlo?). Lombardo, Nuciari, Di Salvo ancora a libro paga in Federazione, ma fuori dal tuo gruppo di lavoro. Non confermato Sandreani, in bilico Oriali: del tuo staff si era salvato solo Fausto Salsano… Scusa la domanda: il Ct è in grado di decidere con chi può lavorare o lo deve stabilire il presidente federale?
«La domanda contiene già la risposta, che però deve fare i conti con la tua premessa. Le persone che hai citato – che godono della mia fiducia incondizionata – non facevano più parte del gruppo di lavoro, quindi il Ct decide con chi è meglio lavorare, ma la cosa va ratificata dal presidente federale».
La supervisione su Under 20 e 21, che secondo Gravina era una mossa risolutiva, in realtà esisteva già da tempo e comprendeva pure l’Under 19: tu sei sempre stato in contatto con Bollini, Nunziata e Nicolato, giusto?
«Sì, il rapporto con gli altri Ct è sempre stato di estrema collaborazione e non ci sono mai stati attriti o sovrapposizioni».
Roberto, inutile girarci intorno, meglio prendere il toro per le corna: nell’antica Roma si diceva “Pecunia non olet”, “Il denaro non ha odore”. Possibile che oggi tutto giri solo attorno al denaro?
«Ok, vuoi andare dritto al cuore del problema? Ti rispondo ovviamente a titolo personale, perché ciascuno ha una sensibilità diversa: no, se fosse solo una questione di denaro sarebbe una roba tristissima. Per chiarire meglio il concetto, ti rispondo con una domanda: se per fare il tuo mestiere assieme a professionisti che stimi, ti offrissero pure una barca di quattrini, che percentuali attribuiresti all’aspetto professionale e a quello finanziario?».
Non fa una piega: i soldi sarebbero solo il modo migliore per accettare con entusiasmo un cambio di vita radicale…
«Tu l’hai detto. I soldi ci sono sempre stati, per carità, ma l’aspetto professionale è stato preponderante, anche quand’ero calciatore. Nell’estate dell’86, Vialli rispose “no” a Berlusconi che l’avrebbe coperto di miliardi, io rifiutai altre ghiotte occasioni: entrambi lo facemmo perché credevamo in un sogno, portare la Sampdoria ai vertici del calcio italiano. Ce ne dissero di tutti i colori, scrissero che eravamo dei bambini viziati che si rifiutavano di crescere. La storia però ci diede ragione. Ecco, la Nazionale era la mia nuova sfida e la vivevo come tale. Purtroppo, si era rotto qualcosa da mesi, non c’era più la magia dell’inizio».
Perché, conoscendo la storia di Bearzot, non ti sei dimesso dopo aver vinto l’Europeo?
«Perché in quei momenti la gioia prende il sopravvento sulla ragione e le difficoltà che incontrerai – perché sai che ci saranno – le vivi come nuovi stimoli».
Perché non ti sei dimesso dopo la mancata qualificazione al Mondiale?
«Ero frastornato, mi era caduto il mondo addosso, Gravina mi rinnovò la fiducia e rimboccarmi le maniche non mi ha mai spaventato».
Perché ti sei dimesso… con un settimana di ritardo?
«Ancora con questa storia? Non mi sono dimesso per la nomina di Buffon a capodelegazione, è chiaro? Prima di compiere un gesto così importante, valuti i pro e i contro, aspetti che arrivi qualche segnale, poi decidi. È stato un passo doloroso, meditato fino all’ultimo. Chi pensa che l’abbia compiuto a cuor leggero è lontano dalla verità».