La figlia di Angelo Piccaluga
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Liliana Piccaluga
Le sue gambe hanno deciso da poco di prendersi una pausa, ma lei non ha battuto ciglio: il carattere è quello del papà, paura nessuna e lottare sempre!
Liliana Piccaluga, classe 1928, si siede a tavola, aiutata dal figlio, proprio vicino a me, mi sorride e comincia a parlarmi di quel padre che ha scritto pagine importanti in un calcio che fu: Angelo Piccaluga da Vercelli, classe 1906 e prodotto di quella Pro che ancora dettava legge a livello nazionale; gli esordi e poi via a Modena, per diventare idolo della tifoseria e di Enzo Ferrari (sì, proprio il Drake!), Palermo, Biellese e Grion Pola, tutto questo negli Anni 20 e 30!
Da Modena a Pola via Palermo
Liliana racconta che da bambina un poco pativa il fatto di doversi spostare, le amicizie erano solo conoscenze e cambiavano velocemente.
Si sente modenese («Ci sono nata e ci ho vissuto i primi anni di vita, la sento mia come città»), ma ricorda volentieri l’infanzia a Palermo («Quando vedo Mondello in televisione mi emoziono ancora adesso: ero una bimba, mi coccolavano tutti e mamma mi sgridava perché rifiutavo quello che mi offriva la gente»).
Di Pola, poi, ricorda il clima in cui vivevano gli italiani e la fuga con due valigie all’improvviso: «Papà si salvò perché il prefetto era un suo amico di scuola e trovò un modo per rimpatriarlo, sennò avrebbe fatto una brutta fine».
Del padre i ricordi sono tanti, dalle bische a carte con il triestino Demanzano in quel di Palermo («Ma alle 22 papà mandava tutti via, perché si doveva fare vita da sportivo») al pranzo che lo attendeva la domenica a Modena prima di andare allo stadio («Sua madre gli preparava una minestrina con l’uovo dentro, la mangiava e poi via con la divisa, ognuno aveva la sua e la doveva pure lavare, a giocare allo stadio! Io però preferivo andare al cinema che a vedere papà!»).
La maglietta di papà
«Erano altri tempi, ricordo che quando eravamo a Palermo e dovevano giocare due gare al Nord si fermavano direttamente fuori fino alla gara successiva, viaggiare era un’impresa. Avevano un compagno con la moglie gelosa e così quando tornavano a casa gli riempivano le camicie di rossetto e profumi da donna: si scherzava così, in maniera semplice…».
Mangiamo, beviamo e le ricordo che il papà ha giocato pure due gare in Nazionale, ma lei lo sa e aggiunge: «Con la divisa dell’Italia, mia madre mi fece un vestitino che ho usato per anni. Magari poi si sarà pentita, ma erano tempi tanto diversi…».
Sorridiamo, i suoi occhi sono illuminati dalla luce della felicità, è un pranzo speciale. Piccaluga ci ha lasciato una testimone d’eccezione…
Grazie, Liliana!