Italia 1934 – Gli uomini di Vittorio Pozzo
Il Ct Vittorio Pozzo
Il destino nel nome e una incancellabile vergogna
Vittorio Pozzo era nato a Torino il 2 marzo 1886 da una famiglia di origini biellesi profeticamente fedele al detto latino “nomen omen” (il destino nel nome). Giocò a calcio nelle file del Football Club Torinese, antesignano del Torino, e poi nel Grasshoppers, in Svizzera, e ancora in Francia e Inghilterra, dove l’aveva condotto lo studio delle lingue.
Assunto dalla Pirelli, era entrato tra i soci fondatori del Torino e poi della Figc. Nel 1912, segretario della Federcalcio, venne chiamato a fungere da commissario tecnico della Nazionale di calcio per le Olimpiadi di Stoccolma, dopo le dimissioni in blocco della commissione selezionatrice.
Dopo aver partecipato al conflitto mondiale, fu ancora commissario unico alle Olimpiadi, nel 1924, per poi dimettersi. Di lì a poco perse la moglie, gravemente ammalata. Trasferitosi a Milano, al lavoro nell’Ufficio Propaganda della Pirelli accoppiava quello di inviato de “La Stampa”.
Qui lo scovò Leandro Arpinati, presidente della Figc, per faticosamente convincerlo ad assumere la guida della Nazionale. Una scelta felice, illustrata da due titoli mondiali, uno olimpico e due Coppe Internazionali.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale perse il magico feeling con il successo. Venne rimosso nel 1948, e poi gli toccò una rimozione peggiore, quella dalle glorie nazionali: continuò a fare il giornalista per il quotidiano torinese, ma chiuso in una specie di recinto dall’ottusità di un mondo che non gli perdonava il successo passato, accusandolo (scioccamente) di connivenze col Regime fascista.
Una infelice presenza in un quiz televisivo (la Fiera dei Sogni, con Mike Bongiorno), lo portò a isolarsi ancora di più. Morì il 21 dicembre 1968, in un oblio che non fa onore al calcio italiano, perpetuato nel rifiuto a intitolargli nel 1990, anno Mondiale, il nuovo stadio di Torino.
Gregari e fuoriclasse, tutti campioni
Giampiero COMBI
Così Pozzo ricorda il suo avvento sulla scena del Mondiale: «Piero Combi lo sapeva. L’uomo in gran forma, come difensore della rete, era in quel momento Carlo Ceresoli.
Nel corso della preparazione, sul campo della Fiorentina, in una parata un po’ azzardata, Ceresoli si ruppe un braccio. Proprio sotto ai miei occhi: ché io stavo, in quel momento, appoggiato ai pali della porta nella quale egli lavorava.
Addio, Campionato del Mondo! Combi lo vide partire per l’ospedale, mi si avvicinò e mi disse, in piemontese: «M’ touca a mi?» Tocca a me? «Souta, Piero». Sotto, Piero, gli risposi. Mobilitò istantaneamente lo spirito, che già egli si era rassegnato a fungere da riserva, fisicamente e tecnicamente.
In tre giorni già era a posto e diventò, per anzianità, capitano dell’undici nostro. In una settimana si mise completamente in ordine». Mitico vertice del trio bianconero con Rosetta e Caligaris della grande Juventus del quinquennio, fu tra i massimi portieri della storia del calcio italiano. 47 volte nazionale, vinse cinque scudetti e abbandonò il calcio dopo la conquista iridata.
Eraldo MONZEGLIO
Terzino di raffinata grana tecnica, uscì dalla rinomata scuola casalese, prima di diventare campione col Bologna, nelle cui file vinse uno scudetto e due Mitropa Cup, prima di trasferirsi alla Roma. Collezionò 35 presenze in Nazionale e a fine carriera fu allenatore di buon livello.
Luigi ALLEMANDI
Difensore arcigno, formidabile nelle chiusure, legò il suo nome a due scudetti (con Juventus e Ambrosiana), alla Coppa Internazionale e all’illecito che portò alla revoca del titolo del Torino nel 1927: juventino poi passato all’Ambrosiana, accusato di aver favorito nel derby la squadra granata, era stato squalificato a vita e poi amnistiato nel 1929.
Attilio FERRARIS IV
Inattesa la sua “rinascita” al Mondiale del 1934, dopo che la vita sregolata ne aveva provocato l’uscita dal giro azzurro e pure dalla sua squadra di club, la Roma, minandone le qualità di grande combattente.
Ripescato da Pozzo e rimessosi a nuovo grazie alla feroce applicazione, si presentò in condizioni fisiche smaglianti, che ne fecero uno dei baluardi della squadra azzurra. 28 volte Nazionale, nel novembre 1934 fu tra i “leoni di Highbury” più elogiati dalla stampa britannica dopo la celebre partita del dopo-Mondiale nello stadio londinese persa dagli azzurri per 2-3.
Luis MONTI
Soprannominato in patria “Doble ancho” (doppia ampiezza, armadio a due ante) per il fisico imponente, arrivò alla Juve trentenne, con l’adipe di una vecchia gloria. In poche settimane di sfiancanti allenamenti si rimise a nuovo e divenne pilastro della Juventus del quinquennio (conquistò 4 dei cinque scudetti) e poi della Nazionale.
Aveva partecipato al Mondiale 1930 con la maglia biancoceleste, con i colori azzurri quattro anni dopo incarnò la svolta impressa dal Ct al gioco italiano, che con lui aveva fatto il salto di qualità. Deciso e roccioso nei contrasti per quanto abile nell’attivare con lunghi e precisi lanci l’attacco, fu il perno della squadra di Pozzo, con cui collezionò 18 presenze.
Luigi BERTOLINI
L’iconografia classica lo ricorda con un fazzoletto bianco sulla fronte, per proteggerla nel gioco di testa, in cui eccelleva. Era arrivato alla Juventus nel 1931 dall’Alessandria e il tecnico Carcano (futuro preparatore ai Mondiali) ne aveva fatto subito un pilastro della sua formidabile Juve. Oltre al titolo mondiale, nel suo albo d’oro figurano 26 partite in Nazionale, quattro scudetti e una Coppa Internazionale.
Enrique GUAITA
Attaccante di altissima qualità, nazionale argentino, venne ingaggiato dalla Roma nel 1933 e vinse l’anno successivo la graduatoria cannonieri stabilendo il record di segnature nei campionati a sedici squadre a girone unico con 28 gol in 29 partite. Totalizzò solo 10 presenze in azzurro, perché dopo i primi due campionati fuggì in Patria per evitare l’arruolamento nell’esercito italiano.
Giuseppe MEAZZA
Viene annoverato tra i più grandi in assoluto del calcio italiano. Talento purissimo e precoce (lo soprannominarono “il Balilla”), a diciotto anni era già titolare nella sua squadra, l’Ambrosiana, nelle cui giovanili era cresciuto e con cui avrebbe vinto due scudetti e tre titoli di capocannoniere; a diciannove era colonna della Nazionale.
Il suo calcio era fatto di guizzi e invenzioni, sublimate da un innato senso del gol; dominò la scena per oltre un decennio (oltre alla maglia dell’Ambrosiana vestì, dopo una lunga assenza provocata da un embolo al piede destro, quelle di Milan, Juventus e Atalanta), realizzando 225 reti in Serie A.
Celebre il suo gol con la “chiamata” del portiere, invitato all’uscita e beffato con un tiro secco dopo un accenno di finta. Centravanti per vocazione ma non certo di sfondamento (il suo tiro era perfido e preciso, non richiedeva il propellente della potenza), venne genialmente arretrato a interno da Vittorio Pozzo, che ne fece un inimitabile inventore di gioco, di cui molto si giovarono attaccanti d’urto come Schiavio e Piola nei due Mondiali vinti.
Chiuse con 53 presenze e 33 reti in azzurro, simbolo leggendario di eleganza applicata al calcio. A lui è oggi dedicato lo stadio milanese di San Siro.
Angelo SCHIAVIO
Il suo nome è legato al gol decisivo nella finale mondiale 1934, ma l’etichetta è certamente riduttiva.
Centravanti di sfondamento provvisto di eccellente controllo di palla e di un tiro potente e preciso con entrambi i piedi, fu per fare posto alle sue doti che Pozzo arretrò Meazza a interno. Incarnò l’emblema del “Bologna che tremare il mondo fa”, con cui vinse 4 scudetti, 2 Mitropa Cup e quel Torneo dell’Esposizione di Parigi che, grazie alla partecipazione degli inglesi, fu una sorta di Mondiale per club.
Non indossò altre maglie; con la Nazionale chiuse dopo il trionfo mondiale, con 15 gol in 21 partite.
Giovanni FERRARI
E’ tuttora il primatista assoluto (assieme allo juventino Beppe Furino) di scudetti vinti, con ben otto titoli, conquistati in carriera con le maglie di Juventus, Ambrosiana-Inter e Bologna. Interno di rara intelligenza tattica, fu l’ideale complemento di Meazza, la cui fantasia e genialità mirabilmente contrappesava con il suo senso del raziocinio e la precisione del gioco.
Provvisto di un tiro da lontano piuttosto pungente, vinse due Mondiali e due Coppe Internazionali, chiudendo la carriera azzurra con 44 presenze e 14 reti.
Raimundo ORSI
Ala sinistra di ineguagliata classe, aveva raggiunto la notorietà sbalordendo il pubblico delle Olimpiadi di Amsterdam nel 1928 con la maglia della Nazionale argentina. Ingaggiato dalla Juventus, vinse i cinque scudetti del quinquennio, esibendo la micidiale efficacia del fuoriclasse. Le sue serpentine facevano ammattire i difensori, il suo tiro, scoccato con entrambi i piedi, non lasciava scampo ai portieri.
Vinse due volte la Coppa Internazionale, uno scudetto argentino e uno in Brasile col Flamengo. Se ne andò dall’Italia nella primavera del 1935, spaventato dalla piega che andavano prendendo le vicende politiche, con 35 presenze e 13 gol e il suo nome indelebilmente iscritto nella storia del calcio come quello della più forte ala del calcio italiano di ogni epoca.
Felice PLACIDO BOREL II
Venne soprannominato “Farfallino” per l’eterea eleganza delle sue movenze, eppure il suo ingresso nel calcio di vertice ebbe effetti devastanti.
Al suo esordio, diciottenne, nella Juventus, mise a segno il primato di media gol nei campionati a diciotto squadre a girone unico, con 29 reti in 28 partite.
Capocannoniere anche l’anno successivo, patì in Nazionale la concorrenza prima del poderoso Schiavio e successivamente di Piola, quando, dopo il 1935, il suo rendimento si abbassò bruscamente a causa dei problemi fisici che ne tormentarono la carriera. Raffinatissimo e veloce, conquistò tre scudetti e chiuse con appena 3 presenze in azzurro.
Armando CASTELLAZZI
Mediano difensivo dalla notevole continuità di rendimento, colonna dell’Ambrosiana, vinse uno scudetto e totalizzò 3 presenze in azzurro.
Attilio DEMARIA
Anche lui aveva giocato con la Nazionale argentina il Mondiale 1930, prima di approdare in Italia, nelle file dell’Ambrosiana-Inter, con cui vinse uno scudetto. In Nazionale vinse la Coppa Internazionale e totalizzò 13 partite.
Anfilogino GUARISI
Era l’ennesimo “oriundo” della Nazionale di Pozzo. Attaccante brasiliano di grandi qualità tattiche, giocò nella Lazio dei tanti brasiliani e collezionò 6 presenze in Nazionale.
Mario PIZZIOLO
La sua avventura al Mondiale si chiuse durante il primo confronto con la Spagna, nel terribile scontro con un avversario, che gli costò la frattura di una gamba. Era mediano di grana tecnica raffinata, l’unico giocatore della Fiorentina nella Nazionale del 1934.
Virginio ROSETTA
Grande esponente del vivaio vercellese, fu il primo giocatore italiano ufficialmente ceduto dietro contropartita economica (la Juventus lo acquistò dalla Pro Vercelli nel 1923). Compose con Combi e Caligaris un mitico trio difensivo di rara efficacia. Collezionò sette scudetti e 52 presenze in Nazionale.
Le riserve
Pietro ARCARI III
Ala destra di Milan e Genoa, ottimo goleador, non esordì mai in Nazionale.
Umberto CALIGARIS
Terzino della Juventus, fu a lungo, con le sue 59 presenze, il primatista di gettoni azzurri, ma la sua carriera attiva in Nazionale si era chiusa prima del Mondiale. Con Combi e Rosetta costituì un eccezionale trio difensivo. Vinse cinque scudetti.
Giuseppe CAVANNA
Portiere del Napoli proveneiente dal fertile vivaio vercellese, zio di Piola, non esordì mai nella Nazionale maggiore.
Guido MASETTI
Portiere passato dal Verona alla Roma, dove vinse uno scudetto, giocò 2 partite in Nazionale.
Mario VARGLIEN I
Mediano della Juventus del quinquennio, vinse tutti e cinque gli scudetti del magico periodo. Giocò una sola partita in Nazionale.
La Finale di Italia 1934 – Gli Azzurri di Vittorio Pozzo in Italia 1934