Fulvio Bernardini, Il Dottor scudetto
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Troppo bravo per la Nazionale
A Bologna, Fulvio Bernardini (Roma, 28 dicembre 1905 – Roma, 13 gennaio 1984) è ricordato soprattutto per essere stato l’allenatore dell’ultimo scudetto rossoblù. In realtà, è stato molto di più.
Un campione da calciatore (Lazio, Inter e Roma le tappe della sua luminosa carriera), addirittura troppo bravo per essere convocato in Nazionale quanto avrebbe meritato da Vittorio Pozzo, che si sarebbe giustificato così: «Vede Bernardini, lei gioca attualmente in modo superiore, in modo perfetto dal punto di vista della prestazione individuale. Gli altri non possono arrivare alla concezione che lei ha del gioco e finiscono per trovarsi in soggezione. Dovrei chiederle di giocare meno bene. Sacrificare lei o sacrificare tutti gli altri? Lei come si regolerebbe, al mio posto?».
La rivoluzione dei “piedi buoni”
Da tecnico, il Dottor (laurea in Scienze Economiche, ottenuta alla Bocconi durante la militanza interista) Pedata infilò una doppietta storica alla guida della Fiorentina 1955-56 e del Bologna 1963-64, con l’intermezzo di una Coppa Italia vinta con la Lazio, unico allenatore capace di vincere due scudetti al di fuori del ristretto circolo delle Grandi.
Bernardini venne chiamato al capezzale della Nazionale nel 1974 per rilevare Ferruccio Valcareggi, che pure aveva vinto gli Europei nel 1968 e ai Mondiali 1970 si era inchinato solo al Brasile di Pelé.
Zio Uccio pagò la disastrosa gestione del gruppo ai Mondiali 1974 e la Federcalcio, per dare una svolta, chiamò Bernardini a Coverciano. Un biennio intenso, non suffragato da risultati immediati, tanto che – dopo una discussa coabitazione panchinara con Enzo Bearzot – il Dottor Pedata lasciò le luci della ribalta al Vecio, che si sarebbe tolto (meritandole) non poche soddisfazioni.
Bernardini bocciato in azzurro, dunque? Le cifre paiono impietose: 6 partite da Ct “in solitaria”, 1 vinta, 2 pareggiate e 3 perse; 16 partite in coppia con Bearzot, 11 vinte, 2 pareggiate e 3 perse.
Ma i numeri non sempre raccontano bene una storia, e allora ci piace riportare quanto scrisse anni dopo Giorgio Tosatti, illuminato critico calcistico: «Il delicato periodo di passaggio fu gestito, con mano salda e assoluta noncuranza dell’impopolarità, da Fulvio Bernardini, che collezionò sconfitte e feroci critiche, ma riuscì a formare un nucleo di freschi talenti accomunati dalla qualità tecnica (i “piedi buoni”, il cui simbolo era considerato il giovane Giancarlo Antognoni) e dalla disciplina di squadra».
Perché, come sosteneva lo stesso Bernardini, «prima si insegna a giocare a calcio e poi si vincono gli scudetti: ma poi».
Quella volta, in paradiso…
Tornando sotto le Due Torri, ancora oggi riecheggia sotto i portici la frase di Fulvio “così si gioca solo in paradiso” che risale al 14 ottobre 1962, dopo un 7-1 casalingo contro il malcapitato Modena, allenato dall’ex rossoblù Vittorio Malagoli.
Di quel Modena, letteralmente travolto dal Bologna, pensate che il migliore fu il portiere, Luigi Balzarini, futuro milanista.
Nel 63-64 Bernardini fece praticare a quel grande Bologna un gioco meno arioso, meno spumeggiante di quello del “paradiso” dell’anno precedente, più pragmatico e meno spettacolare.
Risultato: settimo scudetto, nonostante le peripezie del presunto “caso doping”, con 10 partite vinte consecutivamente, difesa meno battuta con solo 18 reti al passivo e Harald Nielsen capocannoniere del torneo.
Magari in paradiso si giocava meglio, ma lo scudetto arrivò a Bologna…