Fabrizio Ravanelli, grilli? No, grazie
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“Plume Blanche” o “Silver Fox”, Fabrizio Ravanelli appartiene alla rarissima categoria dei bomber italiani da esportazione. La sua chioma grigia, che si porta dietro fin dall’adolescenza e la maglietta in testa nell’esultanza del gol (una civetteria per far vedere lo sponsor) sono piccoli marchi di fabbrica che l’hanno reso famoso in tutta Europa.
Pero’ prima di emigare in Inghilterra e in Francia aveva esibito grandi qualita’ in Italia, maturando a poco a poco nel corso di una dura gavetta. La sua e’ stata una crescita progressiva, cominciata nella sua Perugia e passata attraverso Avellino, Casertana e Reggiana. Da Reggio Emilia, in Serie B, il passaggio diretto a una grande come la Juventus fece parecchio discutere.
Ravanelli era un attaccante robusto, potente, sgraziato ma anche efficace nel suo palleggio sbrigativo e con la sua generosità che lo portava ad arretrare spesso in aiuto al centrocampo o a procurarsi direttamente il pallone. Insomma, alla Juve avrebbe potuto fare al massimo l’attaccante di scorta. Nessuna previsione fu più sbagliata.
Facendo leva su uno smisurato orgoglio, il ragazzo dai capelli d’argento (che per questa caratteristica era apparso giovanissimo, ai tempi del Perugia, nella pubblicità di una compagnia di assicurazione) riusciva a imporsi all’attenzione generale, segnando gol pesanti e conquistando il posto da titolare.
Memorabile la stagione 1994-95, quella dell’esordio di Lippi, con l’accoppiata Vialli-Ravanelli a fare continui tourbillon offensivi, con sfiancante lavoro di pressing e di rientri in aiuto al centrocampo, così da consentire la presenza di un terzo uomo offensivo, Roberto Baggio o l’emergente Del Piero. Infine, il trionfo in Champions League nel maggio 1996, quando Ravanelli segnò il gol del momentaneo vantaggio sull’Ajax nella finale dell’Olimpico di Roma, poi vinta ai rigori.
Autentici anni d’oro, per il “muratore bianconero”, come si definiva lui con un pizzico d’orgoglio: il bomber operaio che aveva conquistato il cuore aristocratico della squadra più vincente d’Italia.
Anche se con metalmeccanici Fiat nel 1994 aveva avuto un incontro ravvicinato non proprio idilliaco durante un ingorgo creato da una manifestazione di protesta. Un po’ di tensione, niente in confronto a tre anni più tardi quando durante la sosta a un distributore di benzina mise k.o. due bulletti che, da un’auto rubata, l’avevano insultato.
Ravanelli s’infortunò nell’occasione il quinto metacarpo della mano destra, acciacco che però non gli impedì di giocare la domenica successiva. Segnali del temperamento vivace di un ragazzo che anche negli addii non ha mai avuto peli sulla lingua. Si sentì tradito dalla Juventus quando lo cedette al Middlesbrough, lui che si aspettava invece la fascia di capitano, dopo la partenza di Vialli. E non lo mandò a dire.
Poi, in Inghilterra esordì con una tripletta al Liverpool, record assoluto per uno straniero. Ma, nonostante i suoi gol la squadra di Bryan Robson in poco tempo declinò e Ravanelli si lamentò degli scarsi ritmi di allenamento. Alla fine impose la sua volontà e finì al Marsiglia. Il principio fu incoraggiante pure in Francia, sia dal punto di vista personale che collettivo (l’OM balzò in testa alla classifica lui fece altrettanto sulle prime pagine). Poi le prime polemiche: la presunta persecuzione arbitrale, certi voli disinvolti in area di rigore che fecero gridare allo scandalo.
Alla fine, nel dicembre 1999, il sospirato ritorno in Italia, dopo tre anni. In gol quasi subito, per dimostrare che la buona abitudine non era andata persa. Anche se la concorrenza nella Lazio è fortissima, Ravanelli vorrebbe di nuovo la maglia azzurra.
Sfortunato all’ultimo Mondiale, quando un focolaio di broncopolmonite lo costrinse a un prematuro rientro dalla Francia, non ha mai digerito di essere stato escluso, causa l’esplosione di una nuova generazione di attaccanti. E nonostante non abbia più vent’anni, medita rivincite importanti. Per uno abituato a non arrendersi mai, è il minimo.