Ehi, Civ, mi hai tenuto il posto?
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Edson Arantes do Nascimento Pelé
Domanda sciocca: i Miti muoiono? La risposta me la faccio prestare da Francesco Guccini, “Gli eroi son tutti giovani e belli”.
Perché Pelé, che ha lasciato questa valle di lacrime proprio ieri, oltre che Mito per tutti noi è stato pure l’Eroe della sua gente, quella gente nata in favelas che la banlieue parigina sembra il 4° arrondissement della Ville Lumière.
In queste ore, un po’ tutti tirano fuori dal cassetto il proprio ricordo di O Rey. Io non l’ho conosciuto di persona, non l’ho mai visto giocare dal vivo, eppure ho ugualmente qualcosa da dirvi. Magia di un Mito.
Il Mito vivente
La prima che mi viene in mente: l’appellativo O Rey non è un doveroso omaggio post mortem a un Grande del calcio. Lui era O Rey, il Re, in… diretta, quando con la maglia bianca del Santos e quella verdeoro del Brasile (tutte rigorosamente griffate 10) andava in giro per il mondo a miracol mostrare.
Un paio di flash: la volta che uccellò Mazurkiewicz inventando il dribbling senza pallone e quel gol in finale contro l’Italia, che sono 52 anni che gli scienziati cercano di capire come fece Pelé a battere la forza di gravità.
Il non gol più bello dei Mondiali
Procediamo con ordine. 17 giugno 1970, Guadalajara, Semifinale di Messico 70, Brasile-Uruguay 3-1 [per gli amanti delle statistiche, ecco la sequenza dei gol: 19’ Cubilla (U), 44’ Clodoaldo (B), 76’ Jairzinho (B), 89’ Rivelino (B)].
La partita ha poc’altro da dire, ma il Brasile – “quel” Brasile – non è una squadra banale. Gérson è sulla trequarti, a sinistra, si guarda intorno annoiato. Poi lancia il pallone al centro, poco fuori dall’area di rigore, in una zona apparentemente disabitata, Improvvisamente, la zona si anima: Mazurkiewicz, all’epoca uno dei migliori portieri al mondo, intuisce il pericolo e si lancia in uscita.
Spunta la sagoma di Pelé, che corre verso la porta. L’estremo difensore uruguayano – non un pivello, ribadiamo – non sa se andare sul pallone o sul calciatore e sceglie quest’ultimo, perché è la scelta logica.
Solo che il Re prosegue la sua corsa senza palla, così come il pallone senza… Re: O Rey alla sua destra, l’adidas Telstar alla sua sinistra e, in mezzo, il povero Mazurkiewicz, che ha giusto il tempo di girarsi per vedere Pelé che recupera il pallone e calcia a rete, sfiorando il palo.
L’epilogo (sul fondo) ha consegnato alla Storia il primo dribbling senza pallone; fosse stato gol, sedici anni dopo sarebbe entrato in gara con la perla di Maradona contro l’Inghilterra per il titolo di più bel gol di sempre ai Mondiali…
Dai, vieni giù…
Poi venne quel gol là, quello che ancora oggi gli scienziati non riescono a spiegare. 21 giugno 1970, Città del Messico, finale di Messico 70, Brasile-Italia 4-1.
Quel giorno c’ero. Davanti alla tivù, come milioni di undicenni sparsi in tutto il mondo. No, non mi aspettavo che vincessero gli Azzurri, d’altronde quando rinunci in partenza all’unico calciatore che parla la lingua degli avversari (Rivera), che cosa ti puoi aspettare?
Ero lì, davanti alla tivù, perché mi piaceva il calcio e perché volevo veder giocare tale Gérson, un brasiliano che quattro anni prima mio padre era andato a ingaggiare – sfidando la sua paura di volare – per il Bologna e che non aveva potuto indossare la maglia rossoblù per colpa di… Edmondo Fabbri (Corea 1966: la Federcalcio chiuse le frontiere…).
Al 18’, cross da sinistra in area italiana destinato a Pelé, che salta contrastato da Burgnich. Saltano insieme, la Roccia alza pure un braccio, ma non c’è un cazzo da fare: mentre il difensore torna a terra, O Rey resta lassù, colpisce il pallone di testa e lo sbatte alle spalle di Albertosi.
Poi arriveranno gli altri gol (37’ Boninsegna, 66’ Gérson, 71’ Jairzinho, 86’ Carlos Alberto). Bravo, bravissimo Gérson, però negli occhi (e nei ricordi) c’è spazio solo per Pelé…
«Ehi, Civ! Mi volto: è Pelé…»
Per anni, ammettiamolo, abbiamo pensato che Gianfranco Civolani ci volesse prendere in giro, con quel suo racconto («Sono all’aeroporto e sento uno che mi chiama. Ehi, Civ! Mi volto: è Pelé…»).
Invece era vero, o quantomeno verosimile, perché O Rey e il Civ davvero avevano fatto un pezzo di strada insieme. Me lo spiegò il mio primo direttore, Italo Cucci, in una dolce serata riccionese, e oggi lo ha raccontato a tutti sul Corriere dello Sport. “Pelé era arrivato a Riccione, il 28 febbraio del 1966, per far piacere a un amico che l’aveva salvato dal fallimento (economico) dopo che il suo procuratore era scappato con i soldi.
E l’amico, un birraio tedesco padrone del Monaco 1974, Roland Ender, tutto panza e allegria, l’aveva salvato. Roland gli aveva trovato anche una moglie, la silenziosa ed elegante Rosemary Cholby – poi madre di Cristina e Jennifer Kelly, più tardi lasciata per un altro paio di mogli – e siccome passava l’estate a Riccione fece fare alla Perla Nera il viaggio di nozze nella Perla Verde dopo il matrimonio a Parigi”.
Cucci, Civolani e un terzo inviato bolognese che non ricordo, quindi, accompagnarono effettivamente Pelé e signora nella loro vacanza rivierasca. Chissà se oggi, bussando alle porte del Paradiso, O Rey si è trovato di fronte Gianfranco. A me piace pensarlo.