Efrem Ebbli l’impaziente inglese
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Efrem Ebbli
“Navigando, navigando, sto volando via di qua, verso un mondo colorato, verso nuove realtà…”: così cantavano i Dik Dik nel 1976, interpretando in italiano la grandissima “I’m Saling” di Rod Stewart; navigazione e volo che all’epoca rappresentavano solo sogni, per un quindicenne bergamasco con la passione per i guantoni da portiere, una passione che lo porterà a vivere un’esperienza unica nel suo genere, qualcosa che gli è entrato dentro e lo ha segnato particolarmente, rendendolo sacerdote di emozioni che solo pochi possono dire di aver provato. Perché giocare all’estero non è solo Liga o Premier, è anche difendere i pali di porte della periferia inglese, dove terra e gomitate si mischiano alle urla in arrivo da spalti gremiti in campi di quarta serie, tutto ciò partendo da Zingonia… Signore e signori, ecco a voi Efrem Ebbli (Bergamo, 13 giugno 1961)!
Romanese, Pavia, Crema, Tortona, Voghera sono alcune delle tappe intermedie che porteranno il nostro numero uno sulle bianche scogliere di Dover, a vivere la sua favola inglese quando ancora andare all’estero pareva cosa da ungheresi, russi o sudamericani.
L’intervista
Cominciamo dal nome, Efrem, non comune…
«Il nome era quello del nonno, l’ho ereditato da lui. Il 9 giugno è Sant’ Efrem, un nome biblico. Qualcuno con questo nome c’è, a Bergamo per esempio era famoso lo sciatore Efrem Morelli».
I tuoi inizi calcistici?
«Ho iniziato nello Zingonia, una società oggi sparita, che giocava proprio nel centro sportivo attualmente di proprietà dell’Atalanta. Era un club che andava per la maggiore, organizzata e forte: abbiamo vinto parecchi campionati. All’epoca il centro sportivo non era come oggi, tre o quattro campi non molto belli e niente più”».
All’Atalanta come ci arrivi?
«Prima dell’Atalanta ho fatto un anno all’oratorio, ero stufo di andare fino a Zingonia. Poi però feci il provino con la Dea e mi presero, così ero di nuovo a Zingonia…».
Una volta in nerazzurro, ci resti fino alla Primavera?
«Ho fatto cinque anni con loro, ma la Primavera no, mi sono fermato alla Berretti. In realtà all’Atalanta non ero ben visto. Non so il motivo, anche se c’è da dire che nessun altro portiere in quegli anni è andato più avanti… Forse non puntavano sui portieri che avevano in casa…».
Ed è così che finisci in D alla Romanese: la vivesti come una bocciatura?
«Assolutamente no, era un grosso club di Serie D e non pensavo di finirci certo io. Mi cercarono e ci restai per sette anni..».
Una D di livello. Che differenza c’era, rispetto a un settore giovanile?
«Beh, la D di quegli anni era fantastica. Avevo 19 anni e giocavo titolare in una categoria che era conosciuta come “il cimitero degli elefanti”. Ogni squadra aveva qualche vecchia volpe, ricordo Zandoli all’Imola, Luppi alla Mirandolese, noi avevamo Egidio Salvi e Doldi, e poi c’erano ottimi giocatori di categoria come Cleto e D’Astoli della Centese; la gente andava allo stadio, era tutto fantastico».
Alla Romanese sei diventato “grande”, sette anni sono un bel pezzo di carriera. Che ricordi hai?
«Belli, per carità, ma sono rimasto troppo, l’anno del servizio militare non giocai quasi mai e si scese in promozione. Restai, tornammo subito in D e rimasi un altro paio d’anni, alla fine non mi volevano mai lasciar andare… Pensa che per andare al Pavia ho fatto un numero…».
Racconta…
«Mi aveva indirizzato l’ex atalantino Paina, feci un provino in un’amichevole a Piacenza organizzata per festeggiare la promozione di entrambe (Piacenza in B e Pavia in C1, n.d.r.) e dovetti giocare di nascosto, senza nulla osta! Il Piacenza aveva uno squadrone, Signori e Madonna, tanta roba; parai il rigore proprio a Madonna. Il Pavia mi voleva, ma la Romanese niente, non cedeva…».
E allora?
«Minacciai la società di ritirarmi dal calcio giocato! Liti su liti, poi accettarono lo scambio con Guercilena e finalmente ero in C1».
Come fu l’impatto con una realtà come la C1?
«Ottimo, meglio che in D, un calcio di alto livello. Dovevo fare il secondo di Biasi, ma lui in ritiro si infortunò, così giocai subito e per quasi tutto il campionato».
Avevi anche Della Corna come compagno di reparto. È scomparso recentemente…
«Carlo era una gran brava persona, aveva un passato importante alle spalle e mi aiutò molto. Praticamente mi faceva da allenatore, all’epoca, e parliamo di C1, il preparatore dei portieri era pura utopia».
Altri tempi…
«Già. Oggi il preparatore dei portieri lo hanno pure in terza categoria, ai tempi invece giocavi a Livorno o Vicenza e ti riscaldavi da solo con qualche esercizio».
Disputi un campionato ottimo, ma il vostro presidente combina un guaio e vi ritrovate retrocessi per illecito…
«Passammo un periodo un po’ travagliato, esonerarono il mister e ci trovammo in difficoltà; pian piano ci riprendemmo e andammo a vincere a Fano. Fu una partita regolarissima, ma qualche parola nel dopo partita diede adito a dubbi che portarono a una penalizzazione per illecito. In realtà di prove certe non ne saltarono fuori, ma nel calcio basta un sospetto e via, pagammo un conto salato».
Così resti a Pavia, ma ti ritrovi in C2…
«Già, restai anche l’anno dopo, eravamo una delle favorite, ma non bastò per risalire in C1. Giocai dieci partite subendo solamente tre reti, passai i seicento minuti di imbattibilità, però a un certo punto dovetti uscire…».
Perché?
«L’altro portiere era Biasi, più giovane di me e probabilmente più appetibile sul mercato, io avevo già ventisei anni e a livello di business contavo zero; in campo rendevo eccome, ma così va il calcio…».
Ed è così che fai ancora le valigie, ancora C2 ma al Pergocrema…
«Esattamente, al Pergo potenzialmente avevamo uno squadrone, Putelli, Casabianca, Paolo Annoni, iniziò con noi anche Hubner, ma a novembre andò a Fano».
Il Bisonte… Si intravedevano già le doti che lo avrebbero portato a essere un bomber in A?
«Aveva una potenza fuori dal comune, era come un diamante grezzo, evidentemente poi s’è raffinato, visto la strada che ha fatto».
Dopodiché, eccoti così scendere ancora in D a Voghera…
«Sì, scelsi la Vogherese perché lì c’era un progetto importante, avevano fatto una grossa campagna acquisti, pensa che era arrivato pure Marco Nicoletti…».
Ma non bastò per salire in C2…
«C’era a capo una cordata di imprenditori, e come tutte le cordate fu difficile far quadrare il tutto; fummo battuti dal Brescello, che era una sorpresa a tutti gli effetti, forse con un ambiente più sereno avremmo vinto noi».
E si riparte destinazione Tortona, ancora D…
«Esatto, al Derthona ho vissuto il peggior anno della mia carriera… Venivano da una doppia retrocessione, società inesistente, squadra davvero modesta e io incappai in una stagione storta, credo in conseguenza a questa confusione. A pensarci oggi mi spiace ancora, il Derthona era ed è comunque una società gloriosa».
Era la stessa Serie D che avevi lasciato ai tempi della Romanese?
«Sì, era ancora un ottimo campionato, erano i primi anni che si iniziava a introdurre i giovani, ma il livello era ancora alto».
Già, le regole sui giovani obbligatori…
«Lasciamo stare, hanno abbassato il livello drasticamente; se uno è valido gioca, punto e basta. Per come la vedo io, il calcio deve essere uno sport libero, il calciatore a quarant’anni o a sedici, se è buono per la D, deve giocare senza restrizioni».
Torniamo a te. Altra discesa e sei in Eccellenza, all’Alzano…
«Una società emergente, in quegli anni. Ci ritrovai Filisetti, con cui avevo giocato nelle giovanili dell’Atalanta. Puntavamo a salire ma non ci riuscimmo, a livello di spogliatoio vissi un’altra stagione negativa; con i compagni non legai granché, mi vedevano forse come il professionista che andava a svernare, chissà…».
Ed è così che ti sposti nella vicina Treviglio.
«Sì, alla Trevigliese ho ritrovato stimoli e voglia; è stato un anno importante per me, durante il quale ho fatto bene, legai molto con i compagni».
Qui comincia la seconda carriera di Efrem Ebbli: come ci arrivi a giocare in Inghilterra?
«Ho sempre avuto il pallino di andare a giocare là; ci ho fatto le vacanze per anni e ho avuto modo di conoscere giocatori e allenatori, in particolare John Ryan, ex calciatore e all’epoca allenatore del Sittingbourne, che mi diede la possibilità di fare la preparazione con loro».
Che categoria era?
«Paragonabile alla nostra Serie D, una buona categoria; a tre quarti di campionato, però, Ryan andò a Dover e io lo seguii in una categoria superiore. Andavamo già a giocare per buona parte dell’Inghilterra».
Sei stato un precursore…
«Sicuramente uno dei primi italiani. Ricordo che in quel periodo arrivò Silenzi, poi man mano gli altri».
Per un italiano, che cosa vuol dire giocare in Inghilterra?
«Intanto, non essendo Premier League, è sicuramente un altro mondo. Il pregiudizio sull’italiano simulatore me lo beccai anch’io, forse era più una provocazione, ma non me ne curai più di tanto. Ho una mentalità molto vicina alla loro e non faticai ad ambientarmi, resta comunque un calcio più duro, con condizioni difficili dal punto di vista ambientale e di alcuni terreni di gioco».
A Dover hai lasciato ottimi ricordi, sul sito sei anche nella formazione All Star…
«Già, lo so… Qualche pazzo mi ha infilato nella formazione all star, eh eh, scherzi a parte a Dover ho lasciato un buon ricordo».
Ultima tappa inglese, i due anni all’Herne Bay…
«Lì ho vinto tutto, due anni intensi e pieni di soddisfazioni. Era un livello simile alla nostra Eccellenza, una squadra fantastica, vincemmo campionato, Coppa di Lega e Coppa del Kent, uno spettacolo!».
Poi però torni a casa…
«Sì, sono rientrato per faccende mie personali e ho giocato ancora un pochino, ma era ora di smettere. Davo una mano al mio vecchio mister della Trevigliese, eravamo in Promozione e per varie emergenze giocai cinque partite».
Non ti piaceva più?
«Quando ti alzi la mattina e pensi: “Uff, oggi devo giocare” è un cattivo segno, è ora di smettere».
Che cosa ha lasciato a Efrem Ebbli uomo l’esperienza inglese?
«Tutto! È difficile da spiegare, non voglio apparire arrogante, ma è una cosa che ho io e altri non hanno. Un calcio vero, pieno di valori, dove ogni partita è una festa ma la giochi alla morte; qui c’è la diceria che gli inglesi siano rozzi tecnicamente ma è una balla, a parità di categoria il loro calcio è sicuramente più veloce».
L’Efrem Ebbli portiere ha rimpianti?
«Mah, tornassi indietro, sicuramente mi farei valere di più nelle giovanili dell’Atalanta, oggi alcuni vecchi mi dicono che ero un portierone, ma allora non mi consideravano; inoltre andrei certamente via prima dalla Romanese».
L’attaccante più forte che hai affrontato?
«Difficile fare un nome solo, posso dirti che quello con il tiro più forte era Cinquetti: parai una sua punizione e il pallone fischiava… Non l’ho mai più sentito un pallone fischiare. Ho comunque avuto la fortuna di affrontare, in amichevole, giocatori come Van Basten, che meraviglia!».
Il ricordo più bello?
«Scelgo senza dubbio il giorno che abbiamo vinto il treble (campionato e le due coppe) con l’Herne Bay, era una bella società ma non aveva mai vinto così tanto, io ero già un vecchietto e non pensavo di riuscire in un’impresa del genere…».
Ora tocca a quello più brutto…
«Dico la retrocessione con il Derthona, un anno buio che non auguro a nessuno. Retrocedere è qualcosa di orribile, per me è stata l’unica retrocessione della carriera, ma la ricordo come un incubo».
Se invece dovessi indicare un collega che non ha avuto ciò che meritava, che nome faresti?
«Tiziano Pitergi, una vita al Leffe e con me già ai tempi dello Zingonia. Lui davvero meritava di fare molta più strada».
Oggi sei ancora nel mondo del calcio?
«Sì, attualmente sono fermo ma fino a marzo ero in Inghilterra per l’Accademia del calcio e a breve conto di tornarci, restare lontano dall’Inghilterra mi diventa difficile».
Buon viaggio, Efrem Ebbli!