A Caval Donà
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Dario Donà
Scienza non scritta, quella pallonara: si va dai mediani che vincono i Mondiali dopo aver macinato chilometri e chilometri sui campi, a chi nulla stringe nonostante troppo non voglia.
Poi ci sono le eccezioni, le storie particolari che nemmeno il più ispirato scrittore potrebbe scrivere; una di queste parla di un mediano (tanto per cambiare) che con sole 12 presenze in A può vantare uno scudetto storico se non unico, dopo essersi pure permesso il lusso di rifiutare il Milan qualche anno prima perché ok che il calcio è una passione, ma prima viene l’amore!
Semaforo Rossi
Cismon del Grappa (Vicenza), 1961: qui inizia la storia di Dario Donà, Campione d’Italia 1985 con il Verona. Dario fa parte di una famiglia numerosa che si trasferisce a Treviso con lui ancora in fasce, il papà viene presto a mancare e lui, ultimo di cinque figli, riesce a farsi largo nel calcio dei grandi; un fratello maggiore gioca a Cittadella, ma in famiglia quello bravo è lui, lo prende il Treviso e qui, nel ruolo oggi scomparso di mediano di spinta, Donà comincia a diventare un “nome” durante la stagione 1979-80, quando Gianni Rossi (ex attaccante dei 50-60 di Venezia, Juventus e Bari) lo lancia in una squadra che otterrà un buon piazzamento nel girone A della serie C1.
Il casino di Fascetti
Il ragazzo non molla un centimetro, tampona e imposta come un veterano, così il Varese, diretto da un giovane ma già abile Marotta, si accorge di lui e lo mette a disposizione di Fascetti (quello del casino organizzato), che gli concede 16 presenze in cadetteria; nel giugno 1981, quindi, Donà è parte della pattuglia di giovani promesse pronte per il grande salto.
O no? Succede che in estate il Milan bussa alla porta di Marotta chiedendo il ragazzo di Cismon, il Diavolo è appena tornato in Serie A e vuole gettare le basi per un futuro migliore e vincente; per Donà è il treno della vita, da Varese a Milano è un attimo in termini di distanza, ma una vita in prospettiva calcistica.
In fuga per amore
C’è il servizio militare, a Bologna, da portare a termine, la mamma a Treviso che non se la passa benissimo, la fidanzata Patrizia che lo vorrebbe un pochetto più vicino e Gigi Radice che lo vuole a Milanello per lanciarlo nell’élite del calcio; Donà è timoroso, forse quel carattere particolarmente chiuso non lo aiuta, decide di accettare il trasferimento ma non ne è così sicuro, e infatti appena inizia il ritiro dei rossoneri lui non regge.
Fugge nella sua Treviso, mamma ha bisogno d’aiuto e Patrizia pure, così Dario svanisce nel nulla per una decina di giorni facendo infuriare Radice e tutto l’entourage milanista; il caso diventa presto “ingombrante” e così Marotta, Luigi (fratello di Dario) e un amico del giocatore si prodigano in tutte le maniere finché riescono a convincere Dario a tornare in rossonero.
Accompagnato da Marotta e dal fratello, Donà torna chiedendo perdono, la dirigenza milanista accetta le scuse, almeno di facciata, ma per il giocatore la porta è semichiusa, giocherà una mezz’ora il 23 agosto nella sfida di Coppa Italia a Verona (2-0 per gli scaligeri con Donà dal 58′ per Antonelli) e un’abbondante ventina di minuti la settimana successiva nel 5-0 sul Pescara, poi il Milan lo manda in prestito al Lane Rossi (Vicenza per i più giovani) in Serie C1 dove, in una squadra zeppa di fenomeni per la categoria (Briaschi, Del Neri, Perrone, Di Fusco e Renica vi bastano?), vince la Coppa Italia di Serie C e fallisce il ritorno in B per un solo punto di distacco dal Monza! Al Milan va peggio: il (povero) Diavolo retrocede addirittura in Serie B!
Trionfo veronese
Dario resta ancora un anno in Veneto, sfiora ancora la promozione (quarto posto) che ottiene la stagione successiva quando passa al Bologna, società di antico blasone sprofondata per la prima volta in Serie C; l’annata da protagonista in Emilia gli vale la chiamata, in massima serie, del Verona di Bagnoli, che da qualche stagione lavora alla grande con giocatori desiderosi di rivincite.
Donà fa al caso dei gialloblù, taciturno, pratico e sempre a disposizione della collettività, il Verona è una banda che suona all’unisono, Bagnoli dirige da fuori e Briegel, Elkjaer, Fanna e gli altri mettono in pratica il verbo; Donà è un’ottima alternativa a metà campo, il mister gli dà fiducia in una dozzina di occasioni (due da titolare) e lui mette così la firma sullo scudetto più incredibile del dopoguerra, Campione d’Italia al primo colpo, dopo aver “rifiutato” il Milan ed essersi fatto tre anni di C1, roba che il purgatorio è una passeggiata…
La ripida discesa
Per non farsi mancare nulla, la stagione successiva Donà va a Catanzaro in B e precipita in C1 nonostante una “rosa” che comprende giocatori quali Logozzo, Soda e Paolo Benetti; poi una tappa a Reggio Emilia, ancora C1, quindi la bella avventura di Ancona, dove si sale in cadetteria al primo tentativo per poi navigare tranquilli in B per un paio di stagioni.
Siamo quindi nell’estate del 1990, Donà ha 29 anni ma la testa già programma il dopo, si avvicina a casa per chiudere tra i dilettanti con Giorgione e Miranese e poi si getta, dopo una breve esperienza come allenatore, nel mondo “vero”, quello del lavoro di tutti, quello dei trasporti nello specifico, viaggi, partenze, ritorni, prelievi e consegne, e sicuramente più d’una volta avrà ripensato a quando fece arrabbiare Marotta e Rivera….