Daniele De Rossi – Lei non sa chi ero io
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Tu vuo’ fa’ l’americano?
Nessuno può sapere che futuro avrà Daniele De Rossi come allenatore. Al suo debutto in panchina, alla Spal in Serie B, sinceramente non è ancora giudicabile.
Però sappiamo chi era, DDR o Capitan Futuro dei tempi d’oro. E se ne avete voglia, ve lo raccontiamo, dimenticando l’ennesima sconfitta (3-4 in casa contro il Bari) subita ieri.
Il modo ancor m’offende
Non c’era, Dante Alighieri, nella sala stampa di Trigoria, martedì 14 maggio 2019, ad ascoltare il forzato addio di Daniele De Rossi alla Roma.
Non c’era, ma se ci fosse stato siamo sicuri che avrebbe rispolverato i versi utilizzati per cantare la tragica fine di Paolo e Francesca: “Il modo ancor m’offende”.
E se a porre fine alla storia d’amore tra i due amanti al Castello di Gradara si sa che fu Gianciotto Malatesta, marito tradito, il “colpevole” della fine della love story romanesca non ha ancora un volto.
O meglio ne ha parecchi, dal presidente-ologramma Pallotta all’uomo dietro le quinte Baldini, che – appunto – è come non averne.
Scocca la scintilla
Le strade di De Rossi e dell’AS Roma si incrociano all’alba del nuovo millennio. Daniele, non ancora maggiorenne, gioca a Ostia; papà Alberto, un passato da onesto pedatore e un presente da coltivatore di talenti a Trigoria, lavora per la Roma.
Non ci sono dubbi, sul futuro del ragazzino: se sarà calciatore, vestirà il giallorosso. E così è, naturalmente. L’ambientamento nelle giovanili, la logica trafila, l’esordio con i “grandi”, la conquista del posto fisso, in squadra come nel cuore dei tifosi.
È avvenuto tutto in maniera naturale, un crescendo rossiniano stroncato – in un pomeriggio di maggio – dal freddo annuncio: «Mi è stato comunicato ieri, ma io ho 36 anni e non sono scemo, questo mondo lo conosco bene. Avevo capito che se nessuno ti chiama neanche per ipotizzare un contratto, l’addio è la soluzione più probabile. Io ho sempre parlato poco, anche quest’anno, perché non mi piace, perché non c’era niente da dire e perché non volevo creare rumori che potevano distrarre. Parlo adesso che è tutto finito».
Un pugno nello stomaco: il suo, quello dei compagni di squadra, addirittura quello degli avversari, che lo hanno sempre temuto e rispettato.
Le voci di dentro
Non è stato un fulmine a ciel sereno, quello del 14 maggio 2019, perché i silenzi societari erano facili da interpretare. Ciò non toglie che la notizia abbia provocato reazioni a catena dentro e fuori il Centro Sportivo Fulvio Bernardini.
La vicenda ha toccato tutti, dal più giovane, Nicolò Zaniolo («Non ero ancora entrato a Trigoria quando mi è arrivato un tuo messaggio con scritto “benvenuto in famiglia”. È così che mi hai fatto sentire giorno dopo giorno… Grazie capitano, è stato un grande privilegio giocare con te»), al più… vecchio, Claudio Ranieri: «Non conosco i progetti di Pallotta, non possono averne parlato con me sapendo che io tra due partite finirò il rapporto con la Roma. Se mi fosse stato detto “Resterai tu. Che cosa ne pensi di Daniele?”, io avrei risposto molto semplicemente: “Lo voglio perché so che giocatore è, che uomo è, che capitano è”. S
i parla sempre di leader. Ci sono vari leader: c’è il leader per la società, il leader per i giornalisti, c’è il leader per i tifosi o per i social. Ci sono anche i leader per l’allenatore. Daniele è un allenatore in campo, è l’uomo a cui puoi parlare e lui ragiona per il bene della squadra. Questi tipi di leader sono i leader che vogliono gli allenatori».
Tra le “voci di dentro”, doveroso prendere atto delle parole di Francesco Totti: «Oggi è un giorno triste, si chiude un altro capitolo della storia della Roma. Ma Daniele sarà sempre il mio fratello di campo».
Anche chi quel giorno ereditò la fascia da capitano, Alessandro Florenzi, gli rese doveroso omaggio pubblicamente: «Ciao vecchio, GRAZIE. GRAZIE per la persona che sei per me. GRAZIE per i tuoi insegnamenti. GRAZIE per il tuo bastone e la tua carota. GRAZIE per ogni singolo momento passato insieme. GRAZIE per esserci stato alle 4 di notte il 27 ottobre. GRAZIE per quello che hai dato alla Roma. GRAZIE per i tuoi cazzotti. GRAZIE per la tua anima bella. GRAZIE per le battaglie passate insieme. GRAZIE per esserci sempre come uomo amico compagno. GRAZIE per la tua lealtà. GRAZIE per la tua onestà. GRAZIE per avermi fatto capire cosa vuol dire la parola Capitano. GRAZIE per essere semplicemente Daniele De Rossi. È stato un vanto esserti accanto in questi anni. Ciao Daniè. GRAZIE. BUONA VITA!».
Trigoria e dintorni
Ci sono poi persone che, pur non vivendo fisicamente a Trigoria, da quelle parti hanno lasciato una fetta importante del loro cuore.
Per esempio Peppe Giannini, il Principe di tante battaglie giallorosse, che non ha fatto uso della dialettica diplomatica per commentare la vicenda: «De Rossi meritava ben altro rispetto. Sono deluso e amareggiato perché un altro pezzo di storia è stato allontanato, addirittura scaricato. A questo punto mi auguro che contro il Parma Daniele non ci sia, perché temo che quel giorno di commiato e di affetto possa tramutarsi in una contestazione senza precedenti nei confronti di questa società. Lo dico umanamente per lui, perché capisco che cosa sta provando. Sarò malizioso, ma il fatto di avergli fatto fare una conferenza stampa a Trigoria credo sia il sintomo dell’ennesima furbata di questa società, per raccogliere solo un altro grande incasso al botteghino».
Comanda il Dio Denaro, quindi, ma per fortuna c’è ancora spazio per i sentimenti, perfettamente racchiusi nello scritto di Luca Di Bartolomei, figlio di un indimenticato e indimenticabile capitano giallorosso: «Che dolore, Daniele. Così, di colpo, un martedì di un maggio freddo. Credo sia giusto così, ma che diamine. Con te finisce la mia infanzia di romanista e so che d’ora in avanti nulla sarà più come prima. Sei stato il mio capitano. L’unico che riusciva a farmi incazzare come atto d’amore. Perché ti sentivo mio. Sei stato il giocatore che mi sarebbe piaciuto essere. Come un fratello che vuoi sempre che migliori. Che non cada nei cliché del piagnone. Che sia d’esempio sempre. Grazie per aver dato sempre tutto, anche quando il tutto è diventato troppo proprio come avremmo fatto noi tifosi. Ti auguro il meglio, ti auguro di essere libero e di poter sperimentare soprattutto oltre il calcio. Auguri Ciccio».
Papà Agostino, lassù, avrà sicuramente annuito.
L’onore delle armi
Quasi scontato che i romanisti di oggi o di ieri abbiano reso omaggio all’ex Capitan Futuro. Ma la grandezza di Daniele si percepisce pure al di fuori delle quattro mura di Trigoria. In tanti gli hanno reso l’onore delle armi, qualunque casacca indossino o abbiano indossato. Anche (soprattutto) se a loro volta sono state “bandiere” altrove. Roberto Mancini, Commissario tecnico della Nazionale: «L’addio di De Rossi? Oggi è un giorno triste per il calcio italiano e personalmente provo un grande dispiacere».
Paolo Maldini, bandiera mai ammainata del Milan, ha detto la sua: «Prima o poi si chiude sempre il ciclo per un calciatore, ma sinceramente è una cosa che mi sorprende. Non me l’aspettavo in questo modo, ma lui è sempre stato un’anima molto indipendente. Come giocatore è sempre stato un capitano di fatto in campo, di grande personalità e grande tecnica, uno dei calciatori che ho più ammirato». Che detto da un monumento come Paolino vale doppio, ne converrete…
Gigi Buffon addirittura gli dedicò un brano musicale: «C’è una bella canzone il cui testo recita così: “Abbiamo girato insieme/e ascoltato le voci dei matti/incontrato la gente più strana/e imbarcato compagni di viaggio./Qualcuno è rimasto/qualcuno è andato e non s’è più sentito/un giorno anche tu hai deciso/un abbraccio e poi sei partito./Buon viaggio hermano querido/e buon cammino ovunque tu vada/forse un giorno potremo incontrarci/di nuovo lungo la strada”. In bocca al lupo, Lele. In bocca al lupo perché sei una persona speciale. Di quelle che vale la pena incontrare nella vita. Perché nella vita l’eleganza è saper fare silenzio quando gli altri fanno rumore. E nei tuoi silenzi ho sempre trovato equilibrio, compostezza e maturità. Un abbraccio amico mio! E buona strada!».
Fra i compagni d’avventura al Mondiale 2006, ecco Alessandro Del Piero: «Sei stato un avversario leale e un compagno di momenti indimenticabili. Quello stadio, quei rigori. Campioni del Mondo! Ma sei soprattutto una persona speciale e profonda. So come ti senti e posso immaginare quanta voglia hai ancora di giocare, di divertirti e di trasmettere sul campo la tua grande passione per il calcio. E quando smetterai, so che sarai anche un bravissimo allenatore, se sarà quello che vorrai. Un abbraccio grande Daniele, oggi come a Berlino».
Si fece sentire pure Andrea Pirlo, suo compagno di reparto in azzurro: «Un capitolo importante della tua vita si chiude. Non importa dove, ma continua a giocare e a divertirti, perché il calcio ha ancora bisogno di persone vere come te… In bocca al lupo, Dani!». Famoso per i suoi assist, Pirlo ne fornisce uno con la tecnica del “no look”: quel “continua a giocare” è un invito che Daniele si riservava di poter accogliere… «Il 27 maggio vado in vacanza, una cosa che mi è mancata. Ho davvero bisogno di non pensare al calcio, anche se poi mi toccherà trovare un’altra squadra. In Italia o all’estero? Vediamo… è una cosa completamente nuova per me, ne devo parlare con la mia famiglia, col mio procuratore e soprattutto con me stesso».
Ne parlò con se stesso, citando Dante (“Il modo ancor m’offende”) e andò a gettare le ultime fiches della sua luminosa carriera sul tavolo del Boca Juniors, in Argentina. Poche partite, giusto il tempo di sbollire la rabbia e tornare a casa, dove ad accoglierlo trovò il Mancio, che lo volle al suo fianco in Nazionale per vincere gli Europei. Poi, quattro mesi fa, l’occasione di debuttare in panchina alla Spal.
Scaricato da Pallotta, recuperato da Tacopina: Tu vuo’ fa’ l’americano, Capitan Futuro?