Cristiano Ronaldo CR7 – Lei non sa chi ero io
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L’inferno di cristallo
Se per caso non vi aspettavate l’incredibile ascesa di Cristiano Ronaldo, non fatevene un cruccio: nessuno avrebbe potuto immaginare quanto accaduto neanche lo scorso… millennio, diciamo nella seconda metà degli anni Novanta, quando un ragazzino tutt’ossa, apparentemente denutrito, con i denti storti e la faccia da delinquentello disturbava le placide notti di Funchal, Madeira, Portogallo, la sua città natale, prendendo a pallonate tutto quello che aveva intorno, con una dichiarata preferenza per i vetri delle finestre delle case circostanti.
Perché Cristiano a scuola andava poco e male, ma il calcio lo ha sempre vissuto come una missione.
Ti presento i miei
CR7 è il quartogenito di una cuoca di mensa scolastica e di un giardiniere: il mestiere più complicato, per i genitori, è mettere insieme il pranzo con la cena e offrire agli eredi un futuro sereno.
I due s’impegnano e, risultati alla mano, fanno una gran fatica a raggiungere l’obiettivo (papà morto alcolista, fratello tossicodipendente salvato dall’intervento finanziario di Cristiano: per la cronaca, il padre muore nel 2005 per complicazioni epatiche mentre Ronaldo è in ritiro con la Nazionale, ma questo non rovina la sua prestazione contro la Russia…); il piccolo di casa dos Santos Aveiro, oltretutto, è un osso duro: i risultati scolastici sono scarsi, al limite del disastroso, perché manca la voglia di impegnarsi.
Quella, la voglia di impegnarsi, appunto, salta fuori solo quando c’è da giocare a calcio. È per questo che, quando lui compie 10 anni, i genitori non si oppongono al suo trasferimento al Nacional Madeira: almeno i vicini di casa la smetteranno di lamentarsi per i palleggi notturni del ragazzino e di chiedere il rimborso per i vetri andati in frantumi…
È l’anno di grazia 1995, il viaggio ha inizio.
Il piagnucolone rancoroso
Il Nacional, altro non è che il corridoio che conduce all’anticamera del calcio “vero”, che nel 1997, quindi quando il ragazzo ha 12 anni, prende le sembianze dello Sporting Lisbona.
Qui la storia, come sempre accade, si mischia con la leggenda, e allora risulta difficile certificare quanto viene tramandato, anche se vale la pena di riportarlo: quel ragazzino ricciolino, con quella faccia un po’ così di chi è cresciuto frequentando la strada, non può presentarsi nella Capitale vestito da pezzente, e allora mamma Dolores rompe il salvadanaio e va a comprargli vestiti decenti.
Che non gli serviranno, peraltro, a mascherare quella che è una sua caratteristica: Cristiano ha la lacrima facile, oltre che un carattere burbero, tanto da essere soprannominato “chorão”, piagnucolone.
Per questo, dopo aver rincuorato la madre («Vedrai, mamma, ce la farò»), una volta salito sull’aereo a quanto pare piange ininterrottamente fino all’arrivo a Lisbona. Da quel giorno, almeno pubblicamente, sarebbero stati gli altri, a piangere…
Tavola e palestra
Arrivato a destinazione, prende possesso del suo letto nel dormitorio riservato ai ragazzini fuori sede dello Sporting e comincia a studiare per diventare… CR7.
Gli mancano gli affetti familiari, ma – confortato dall’incitamento della madre – tira dritto per la sua strada.
In breve, quel fisico segaligno, figlio di un’alimentazione “a giorni alterni” e non certo bilanciata, lascia il campo a un fisico atletico, ottenuto con duri allenamenti in palestra oltre che sul campo, primo passo verso la statua che possiamo ammirare ai giorni nostri.
Perché a Lisbona, al di là delle nostalgie, si mangia finalmente due volte al giorno e si gioca a calcio, con buona pace dei libri di testo che ammuffiscono accanto al letto e vengono sfogliati solo raramente.
L’unico sfizio che Roni si concede, con i pochi spiccioli a disposizione, è la frequentazione di una sala giochi: la madre però gli fa capire che non è il caso di sperperare denaro in quelle baggianate e Cristiano – a malincuore – si adegua, salvo mantenere una grande passione per i videogiochi che, a quanto pare, resiste ancora oggi.
Nuove sfide
Chi lo frequentava all’epoca, lo dipinge come un ragazzino insicuro che nasconde queste insicurezze dietro la scorza da duro: così la leggenda narra di epiche litigate con i professori e con i compagni a scuola, o con gli altri calciatori nello spogliatoio.
Mai nessun gesto clamoroso, “solo” sane incazzature che, a quanto pare, trovano una degna conclusione nel solito pianto solitario in camera.
Ma il piagnucolone sa ben presto trasformare i suoi limiti in nuove sfide: lo prendono in giro per la sua pronuncia da provincialotto? Lui si impegna fino ad avere una dizione perfetta, imparando pure – nel corso degli anni – inglese e spagnolo.
Un compagno di squadra lo prende in giro, mentre Cristiano porta fuori dallo spogliatoio la sporcizia con un carretto che i calciatori chiamavano “Ferrari”, apostrofandolo così: «Ecco Ronaldo con la sua auto nuova»? Chissà che cosa ne pensa oggi, il poveretto, che il garage di CR7 sembra Maranello…
Un tiro nel 7
Insomma, fin dall’inizio è inutile la ricerca di un avversario in grado di metterlo all’angolo, e questo spiega la metamorfosi compiuta da Roni negli anni Duemila, come da lui stesso certificato durante un’intervista: «Non sono più quel ragazzino con i denti storti, i brufoli e i capelli a spaghetto».
Già, perché quello era, almeno fino a quando il Fato non gli permette di spiccare il volo. E il Fato, nel suo caso, ha le sembianze di un gentiluomo scozzese, sir Alex Ferguson, che di mestiere fa il manager del Manchester United.
Ferguson lo vede all’opera, intravede le stimmate del campione e nel 2003 lo trascina in Inghilterra, a fronte dell’investimento di una quindicina di milioni di euro, per riempire il buco lasciato, in organico e nel cuore dei tifosi, da David Beckham, passato (quando si dice il destino…) al Real Madrid.
Ferguson crede ciecamente nell’ex ragazzo con i denti storti e gli impone la maglia numero 7, quella lasciata libera da David e che in passato aveva accompagnato campioni del calibro di Best, Cantona e Robson. Cristiano accetta la sfida e inizia il percorso che lo porterà a diventare CR7.
Manchester ai suoi piedi
I duri allenamenti “privati” di Lisbona fanno vedere i primi benefici effetti a Manchester, dove – dopo un inevitabile periodo di rodaggio – cancella il dolce ricordo di Beckham: in sei anni di permanenza, lo score è di 118 gol in 292 partite, che fruttano 3 Premier League (2006-07, 2007-08, 2008-09), 1 FA Cup (2003-04), 2 Coppa di Lega (2005-06, 2008-09), 1 Community Shield (2007), 1 Champions League (2007-08) e 1 Mondiale per club (2008).
L’ascesa è violenta, costante, irrefrenabile. Beckham, il suo predecessore, era bello? Cristiano lo diventa ancora di più.
Best, idolo incontrastato, era un inno alla fantasia calcistica? Cristiano all’estro aggiunge il fisico.
Cantona, il francese più idolatrato oltre Manica, era un guerriero? Cristiano è sempre e comunque in prima linea.
Nasce così, nella Perfida Albione, il suo mito, che ovviamente non può passare inosservato alla squadra mitica per eccellenza, il Real Madrid.
C’è una Casa Blanca che…
Proprio lì, nella capitale spagnola, succede un fatto che sul momento passa inosservato, ma che rivisto oggi fa pensare che qualcosa avrebbe potuto andare diversamente, sul piano dell’immagine.
Sì, perché mentre Ronaldo lavora alacremente per creare quella che diventerà una griffe ricercatissima, CR7, la Casa Blanca nel 2009 lo accoglie (dopo averlo pagato 94 milioni di euro) e gli consegna la camiseta numero… 9.
Già, qualcuno magari l’avrà rimosso, ma i primi passi (e i primi gol) di Cristiano in biancomalva sono contrassegnati dal numero che oggi potremmo definire… sbagliato.
Tutta colpa di Raùl, gioiello fatto in casa, simbolo della forza realista, che indossa da sempre il “7” e ovviamente non cambia abitudini all’arrivo del portoghese.
Poi, un anno dopo, Raùl va a cimentarsi in Germania, allo Schalke 04, e la storia può riprendere il suo corso. Di più: tanto che c’è, Ronaldo supera il predecessore in quasi tutte le statistiche di squadra…
Un curriculum… Real
Anche in questo caso, tanto per non perdere l’abitudine, un po’ di numeri per capire la portata dell’eredità che Cristiano lascia a Madrid.
In nove anni di permanenza (438 presenze, 450 reti!), lui e il Real conquistano 2 Liga (2011-12, 2016-17), 2 Copa del Rey (2010-11, 2013-14), 2 Supercoppe Spagnole (2012, 2017), 4 Champions League (2013-14, 2015-16, 2016-17, 2017-18), 2 Supercoppe Europee (2014, 2017) e 3 Mondiali per club (2014, 2016, 2017).
Ma qualcosa, nelle segrete stanze della Casa Blanca, evidentemente si è rotto: Zinedine Zidane apre la diaspora, CR7 capisce che forse è il caso di arricchire di un altro capitolo il romanzo della sua vita.
La Signora si concede uno sfizio
Centododici milioni al Real Madrid: Madama la Juventus rompe il “porcellino” e il 10 luglio 2018 annuncia l’ingaggio di Cristiano Ronaldo. L’obiettivo è dichiarato: vincere la Champions League. Il risultato è noto a tutti: obiettivo fallito.
Oddio, nei tre anni bianconeri CR7 fa il suo dovere, ovvero porta a casa 2 scudetti (2018-19, 2019-20, 2 Supercoppe Italiane (2018, 2020), 1 Coppa Italia (2020-21) e un titolo di capocannoniere (2020-21).
Complessivamente, 134 presenze e 101 gol: un bottino importante, per quanto privo di svolazzi internazionali, ma non abbastanza per evitare che il 27 agosto 2021 il Manchester Utd comunichi di aver trovato un accordo con la Juventus per il ritorno di Ronaldo.
Il resto è cronaca: cala il rendimento, il Manchester di fatto lo scarica e all’orizzonte spunta l’Al-Nassr che, di fatto, gli offre un tetto (non certo d’ingaggio…) fino al 2030, quando CR7 terminerà il suo compito di ambasciatore arabo per l’organizzazione dei Mondiali.
La Pantera vera
Quella portoghese è una Nazionale senza blasone, che mai ha vinto un titolo. Poi arriva Cristiano e in effetti cambia la storia. Ronaldo esordisce con la rappresentativa rossoverde il 20 agosto 2003, quindi a 18 anni, subentrando contro il Kazakistan. Dopodiché, con la Nazionale gioca cinque Mondiali (2006, 2010, 2014, 2018, 2022) e altrettanti Europei (2004, 2008, 2012, 2016, 2021), arrivando a vincere quello del 2016 e la Confederations Cup dell’anno dopo.
Tanto per gradire, detiene il record di presenze e gol fatti. Insomma, là dove aveva fallito il grande Eusebio, la “Pantera nera” degli anni Sessanta, riesce Cristiano, che pure il 10 luglio 2016, giorno della finale continentale contro la Francia, è costretto a uscire anzitempo dal campo.
I “galletti” lo temono e gli riservano un trattamento al limite del codice penale: prima ancora del decimo minuto, Payet lo azzoppa senza pietà.
Lui stringe i denti, rimane in campo, ma al 25’ è costretto a gettare la spugna, anzi la fascia da capitano, uscendo dal campo in lacrime (ma stavolta ne ha ben donde).
Finisce 1-0 per il Portogallo e lui è in prima fila a raccogliere l’alloro: un altro mito (Eusebio) gettato alle spalle, e adesso sotto a chi tocca…
Il procurattore
Cristiano fa i gol, gli assist e tutto il resto, eppure c’è qualcuno in grado di condizionarlo, addirittura di controllarlo.
Questo “mago della pioggia” si chiama Jorge Paulo Mendes, è nato a Lisbona e di mestiere fa il procuratore sportivo. Nel 1996 fonda la GestiFute, ma è nel 2001 – assicurandosi la procura del futuro CR7 – che compie il salto di qualità.
È lui, premiato ripetutamente con il Globe Soccer Awards come miglior agente dell’anno, che ha dovuto studiare la strategia d’uscita per tutte le parti in causa nella trattativa che portò Ronaldo alla Juve, perché tra chi non voleva fare la figura del “rovina famiglie” (Juventus), chi temeva di rinverdire la sua fama da piagnucolone altezzoso (Cristiano) e chi voleva evitare la garrota dei tifosi (Florentino Perez), a quanto pare la parte più difficile sia stata quella relativa alla stesura del comunicato ufficiale.
Bufale per tutti i gusti
Come capita a tutti i personaggi sovraesposti dal punto di vista mediatico, anche Cristiano Ronaldo è ospite fisso delle rubriche di gossip.
Bufale, notizie ingigantite, verità “pompate” fino a trasformarle, appunto, in bugie: ce n’è davvero per tutti i gusti.
Una delle più eclatanti lo voleva nel mirino dell’Isis in occasione dei Mondiali russi, ma già in passato era stato coinvolto in diatribe internazionali e, purtroppo, serissime.
La fama e la ricchezza non gli hanno fatto dimenticare le umili origini, anzi verrebbe da dire che ne hanno fortificato il ricordo, tanto da spingere CR7 a gesti umanitari di un certo spessore.
Nel 2012, vende all’asta la Scarpa d’Oro vinta l’anno precedente, destinando il ricavato – un milione e mezzo di euro – al finanziamento di scuole per i bambini di Gaza: anche per questo, i palestinesi scelgono Cristiano come personaggio dell’anno del 2016.
Un modo per sdebitarsi pubblicamente, di ringraziarlo per la sua generosità, ma il tutto viene trasformato per fini politici, così Ronaldo diventa un simpatizzante della lotta palestinese, se non addirittura un uomo di Hamas, scatenando le ire della fazione israeliana.
E chi pensa che fare beneficenza sia un atto nobile, da applaudire, evidentemente non ha fatto i conti con chi – nel 2015 – scrisse che aveva donato sei milioni di euro a Save The Children, di cui in effetti è ambasciatore da parecchi anni.
Di fronte a una baggianata così colossale, fu la stessa organizzazione a emettere un comunicato ufficiale in cui ringraziava il calciatore per la sua opera divulgativa, ma definiva la cifra “priva di ogni fondamento”.
Resta il fatto, come detto, che CR7 cerca in qualche modo di essere vicino a chi soffre, che siano le vittime del terremoto in Nepal, gli assistiti dalla Croce Rossa o un’anonima famiglia spagnola, da lui aiutata per pagare le cure a un bambino afflitto da una patologia cerebrale.
Sulle note della canzone di Povia “Luca era gay”, qualche tempo fa vi sarà capitato sicuramente di incontrare qualcuno disposto a testimoniare l’omosessualità di Cristiano, salvo poi leggere le dichiarazioni di Nicole Minetti (dimenticabile soubrette televisiva prestata con insuccesso alla politica) sulle performance “scialbe” di CR7 sotto le lenzuola e infine scoprire che oggi sono cinque i bambini che possono dirsi “figli del Fenomeno”.
Neanche il tempo di raccapezzarsi in questa clamorosa rivoluzione sessuale, che già preme alla porta la nuova indiscrezione relativa al suo numero di figli ideale.
Stando ai solitamente bene informati, Ronaldo ha deciso che vorrà parecchi figli. Quanti? Sette, naturalmente, in “tono” con la sua maglia.
E sembra subito di assaporare il sublime aroma della bufala fatta in casa…
Dai, fatti un ritocchino…
Tutti abbiamo notato la trasformazione di Cristiano in questi anni. Quella tecnica e fisica, certo, ma pure quella estetica.
In assenza di comunicazioni ufficiali, ci siamo concessi uno sfizio: può un trentasettenne che fa battere il cuore alle tifose di ogni latitudine diventare ancora più bello?
Che Ronaldo, nell’ultimo decennio, si sia sottoposto a cure estetiche è sotto gli occhi di tutti. La dentatura è cambiata, con relativo sorriso non più gengivale: questo è possibile attraverso la tossina botulinica.
La base del naso è più stretta: probabile operazione di rinoplastica, così come le orecchie più piccole dovrebbero essere “figlie” di un intervento di otoplastica.
Il viso è notevolmente più disteso (grazie a infiltrazioni di filler?) e infine si notano ritocchi alle sopracciglia, meno folte e più arcuate. Fin qui, l’anamnesi del passato.
Ma oggi, CR7 ha altri margini di miglioramento estetico?
Lo abbiamo chiesto al professor Maurizio Priori, chirurgo plastico di fama mondiale, presidente di SIES (Società Scientifica di Medicina e Chirurgia Estetica) e a capo della Scuola di Medicina e Chirurgia Estetica CPMA-VALET. «Io gli proporrei trattamenti per le borse palpebrali, perché le borse sono asimmetriche, e borse palpebrali inferiori del genere sono anacronistiche, per un divo di 37 anni».
Ha ragione il professore: tutti applaudiamo il campione, ma in realtà in mezzo al campo ci va un autentico divo…