C’ero una volta
Il podere logora chi non l’ha
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Lo so, è l’incipit (storpiato) di tutte le favole. Io non ho mai scritto una favola, non ho più l’età per le favole, ma una favola – professionalmente parlando – l’ho vissuta. Giornalista professionista da quarant’anni: insomma, qualcosa avrò pur fatto, e sto andando a sfogliare le pagine per recuperarne le tracce. Lo faccio sfruttando il regalo di Marco De Polignol, che si è preso la briga e di certo il gusto di catalogare Guerin Sportivo e Calcio 2000, le “case” che hanno ospitato la mia prima e seconda vita (già, ormai sono alla terza età…). Ogni settimana andrò a pescare in quel magico hard disk un pezzo di me (non c’è bisogno di aggiungere altro, please…), con la speranza di presentarvi una persona (non mi piacciono i personaggi) come ho avuto la fortuna di conoscerla io: senza filtri, solo un taccuino, una penna e tanta curiosità. Dice che la gente non ha più voglia di leggere: meglio così, la maggioranza penserà che si tratti di un inutile culto della personalità e tirerà dritto senza soffermarsi. Per gli altri, che saranno pochi ma mi auguro “buoni”, ecco a voi C’ero una volta…
Parole e musica di Arrigo Sacchi, pubblicate qualche giorno fa da La Gazzetta dello Sport: «Leao? Con me non giocherebbe. Io prima di prendere un giocatore guardavo molto la persona. E se non nasci con un certo temperamento, è difficile acquisirlo. Leao avrebbe tanto, tantissimo, e credo sia assolutamente un bravo ragazzo. Nel calcio però si gioca in undici, tutti devono correre e avere una posizione sul campo. Da noi correvano tutti». Il Profeta di Fusignano può piacere o meno; di sicuro, nessuno può permettersi di dargli della banderuola. Perché questa dichiarazione è semplicemente il riassunto del suo pensiero.
Era l’autunno del 1987: Silvio Berlusconi lo aveva voluto alla guida del suo Milan. Arrigo arrivò da Parma portando con sé un ricchissimo bagaglio di idee. E fece di tutto per trasformarle in realtà. L’inizio non fu semplice: costringere Franco Baresi a guardare le videocassette del Parma perché imparasse i movimenti di… Signorini, ammettiamolo, non sembrò una grande idea. Lo spogliatoio decise quasi subito che Sacchi “non era da Milan” e il Diavolo iniziò a zoppicare vistosamente. Dopo una cocente sconfitta, il presidente – un altro che non si è mai tirato indietro – scese negli spogliatoi: la squadra voleva la testa del tecnico, lui spiegò che Arrigo sarebbe rimasto a Milanello anche in caso di retrocessione.
Baresi e compagni capirono la lezione presidenziale, magari fecero spallucce ma si misero a giocare da par loro e a fine stagione vinsero addirittura lo scudetto, sfruttando il clamoroso calo del Napoli di Maradona (ah, quel sasso che colpì la Porsche del Pibe lanciata in tangenziale… Camorra, ne sai qualcosa?). Appunto a fine stagione, il mio direttore, Marino Bartoletti, sfruttando la mia conoscenza di Arrigo fin dai tempi del Rimini, mi mandò a Fusignano (Ravenna), anzi per la precisione a Maiano Monti, a scoprire le radici dell’uomo che stava rivoluzionando il calcio italiano. Una bella chiacchierata con mamma Lucia e babbo Augusto. I significativi silenzi dell’uno, il dolcissimo eloquio dell’altra: ne venne fuori un ritratto gustosissimo di Arrigo. Per il titolo, presi in prestito un motto di Giulio Andreotti (“Il potere logora chi non ce l’ha”): bastò cambiare una consonante per capire qual era il segreto del ragioniere che preferiva il pallone ai libri contabili…
Il podere logora chi non l’ha
L’uomo del giorno / Arrigo Sacchi
I consensi e il sarcasmo, il trionfo e le critiche, gli amici e i nemici, il passato interista e il presente milanista. E quel pezzo di terra, a Fusignano, dove ogni lunedì ritrova la serenità.
Di Marco Montanari – foto di Alberto Sabatini
Non beve Cynar, ma sa ugualmente come difendersi dal logorio della vita moderna. A Fusignano, dove la quiete regna prima e dopo la tempesta, Sacchi torna a essere più semplicemente Arrigo, il compagno di tante sfide calcistiche, il ragionere che preferisce il calcio ai libri contabili, il movimentatore di tante discussioni al Bar Repubblica, piccolo covo di calciofili dove si fanno e si disfano (a chiacchiere…) i destini del football italiano. Casa Sacchi, in paese, è nella via centrale, in un bell’edificio bianco a un solo piano.
Ma il regno del tecnico del Milan è due chilometri più in là, dove comincia la frazione Maiano Monti: sulla sinistra, la casa natia, quella stessa casa in cui oggi abitano mamma Lucia e babbo Augusto; subito oltre, il piccolo podere di famiglia curato da due contadini di fiducia.
E proprio qui, in mezzo al verde, Arrigo ritrova la serenità ogni lunedì: un berrettino per ripararsi dal sole (o dalla pioggia, o dalla neve), un paio di scarpe comode e via, in mezzo ai campi a parlare di semina e raccolto dopo aver parlato di scudetti e coppe per sei giorni.
La bella favola dell’allenatore venuto dal nulla è cominciata da queste parti. Vediamo come.
Arrigo l’interista
Primo Aprile 1946, nasce Arrigo Sacchi. La guerra è finita, l’ufficiale di aviazione Augusto Sacchi è tornato a casa e può stringere fra le braccia il suo secondogenito, cosa che gli era stata negata qualche anno prima, quando vide la luce Gilberto, il primo figlio.
Giusto in tempo di imparare a parlare e Arrigo sceglie subito la sua fede calcistica: si dichiara interista, forse per reazione nei confronti del fratello (milanista) e del padre (tifoso del Lecco).
Fin da piccolo, dimostra di avere le idee estremamente chiare. A cinque anni, mentre si trova in vacanza con i genitori a Montecatini, improvvisa un… comizio al parco delle Terme: si parla di schemi, giocatori e cose varie, ma chi vuole mettere in discussione l’Inter viene servito di barba e capelli. Mamma Sacchi ricorda l’episodio come se fosse accaduto ieri: «Ero assieme ad altre signore, mi dissero che al centro di quel capannello di persone c’era un bambino che parlava di calcio mettendo in buca tutti. Feci finta di niente: non sapevo come comportarmi».
Arrigo si avvicina sempre di più al mondo del pallone. E, come tutti i bambini, vuole tentare l’avventura da protagonista. Con scarsissimi risultati… «Era magrolino» racconta Alfredo Belletti, amico “storico” del tecnico rossonero «e atleticamente non era un granché, però aveva una forza di volontà fuori dal comune, quella forza di volontà che lo ha portato ad arrivare dov’è oggi».
«I suoi problemi» replica babbo Augusto «non erano tanto fisici quanto tecnici. Quando aveva la palla, insomma, poteva succedere di tutto…».
Entra nel Baracca Lugo, ma i sogni muoiono all’alba: la maglia da titolare resta una chimera e a 19 anni, convinto dai… silenzi dell’allenatore, appende le scarpe al chiodo.
Il giro d’Europa
Già, le scarpe. Ecco il suo futuro: rappresentare l’azienda paterna in giro per l’Europa. «Gli diedi l’incarico» dice il padre «perché se la cavava bene con le lingue straniere e con i compratori ci sapeva fare».
Poi, a mezza voce, aggiunge: «Era anche un modo per togliergli di testa ’sto benedetto calcio, che ormai era diventato una malattia». Il destino, che per una volta non si dimostra né cinico né baro, era in agguato.
L’Arrigo va in Germania, in Olanda, in Francia, in Belgio, in Austria, in Svizzera, in Cecoslovacchia. Va e vende scarpe, per carità, ma ne approfitta per vedere come si preparano le squadre all’estero e da ogni viaggio torna con una relazioncina su come vanno le cose (calcisticamente parlando, s’intende) oltre frontiera. Il fuoco cova sotto la cenere e ci vuole poco per ravvivarlo.
Basta, per esempio, fargli balenare l’idea di rilevare la squadretta del paese, che versa in cattive acque. «Nel 1972» spiega l’onnipresente Belletti «io, Arrigo, Danilo Cembali e un altro amico comprammo il Fusignano. All’inizio lui doveva essere un semplice dirigente, poi cominciò a giocare e ad allenare».
Bilancio: tre stagioni, una promozione. Le buone notizie, si sa, corrono in fretta, così ad Arrigo arriva un’offerta da Alfonsine e, subito dopo, un’altra da Bellaria. Già, ma il Bellaria era in Serie D… «E io» ricorda Sacchi «avevo il patentino per allenare i dilettanti, non i semiprofessionisti. Insomma, mi trovo di fronte a un bivio: provare il salto (con i rischi del caso) o rimanere tutta la vita a parlare di suole e tacchi a spillo».
Scelse il salto, lo sappiamo tutti. E, visti gli ottimi risultati, decise di tentare la scalata, iscrivendosi al Supercorso di Coverciano. Ottenuta la “laurea”, il Cesena lo volle alla guida della formazione Primavera: al terzo tentativo, fu scudetto. Da Cesena a Rimini (Serie C1), e quindi a Firenze (Settore Giovanile), ancora a Rimini e, infine, a Parma.
Il trampolino di Parma
Campionato 1985-86: il Parma viene promosso in Serie B, le cronache raccontano di una formazione che gioca calcio ad alto contenuto spettacolare, che impone i propri schemi a qualsiasi avversario. Quella squadra è allenata da un tale, Sacchi, che parla di zona, di pressing, di raddoppi di marcatura.
Che si tratti dell’ennesimo professorino destinato a sciogliersi come neve al sole? Questo è quanto pensano tutti alla vigilia — siamo nell’agosto 1986 — di un’amichevole contro il Milan: «Rispettiamo i rossoneri» abbozza Arrigo, «ma non credo sia giusto dire che psicologicamente partiamo battuti». E infatti, a rimetterci sarà proprio il Diavolo. Il bilancio nei confronti Parma-Milan, alla fine, sarà di due (vittorie) a zero.
Gli schemi del Santone Liedholm, insomma, sembrano a un tratto roba da museo, per niente in sintonia con il calcio di domani. Silvio Berlusconi, quella sera, drizza le… antenne e chiede di conoscere l’allenatore che con una formazione imbottita di mocciosi ha battuto i suoi assi miliardari.
Il Dottore capisce subito che l’uomo che si trova di fronte a lui ha le idee chiare e una mentalità che ricalca alla perfezione lo stile-Fininvest. Fa seguire il Parma dai suoi uomini di fiducia, ottenendo notizie rassicuranti: sì, quel Sacchi è un tecnico che cerca la vittoria attraverso lo spettacolo; è aggressivo e, al limite, trasgressivo.
Sacchi al Milan? Si può fare, amigo. E infatti si fa. La grande stampa comincia a occuparsi dell’ex signor Nessuno che piace tanto a Sua Emittenza. Lo fa in modo distaccato, lasciandosi trascinare dallo scetticismo. Arrigo viene dipinto come un santone, un predicatore solitario, un presuntuoso. In altre parole, qualcuno prepara in anticipo l’epitaffio, prevedendo che il matrimonio durerà poco.
Dicono che impedirà ai giocatori di bere il cappuccino, che farà tre sedute di allenamento al giorno, che farà diventare Milanello una specie di convento di clausura, lasciando fuori dalla porta giornalisti e tifosi. Viene lanciata così la scommessa sul… panettone: lo mangerà a Milano o a Fusignano?
A un passo dal licenziamento
Cattivi profeti: ecco cosa furono quei giornalisti che pronosticarono il licenziamento di Sacchi l’estate scorsa o all’indomani della sconfitta in Coppa Uefa contro l’Español.
Non esiste Auditel, nel calcio, e Berlusconi evidentemente crede più nel suo allenatore che in Milly Carlucci. E poi il Milan sta crescendo di partita in partita, non ve ne accorgete? Il Napoli è lontano, ci vogliono occhi buoni e tanta fede per non perderlo di vista.
L’Arrigo predica, ma non è nel deserto: Baresi e compagni recepiscono il messaggio, si convincono che il campionato durerà abbastanza per operare l’aggancio al vertice.
In febbraio, e quindi in tempi non sospetti, Sacchi si confida con un amico: «Credimi, non so come andrà a finire, non so chi vincerà lo scudetto. Io sono sicuro solo di una cosa: lo scontro diretto, al San Paolo, lo vinceremo noi». Per fortuna la confessione non viene resa pubblica, altrimenti qualche criticonzo troverebbe lo spunto per scaricare veleno sul tecnico che ha il solo difetto di credere nel suo lavoro.
Arriva la primavera, il Diavolo non è poi brutto come lo dipingono. Arriva pure il big-match dell’anno, a Napoli, e con esso il popolo rossonero celebra lo storico sorpasso. Milano è vicina all’Europa che conta, all’Europa dei Campioni: che fine hanno fatto i detrattori del ragioniere di Fusignano? Sono lì, a Milanello e dintorni, a tessere le lodi dell’uomo nuovo del calcio italiano.
Cose che capitano, per carità. Quello di salire sul carro dei vincitori, dalle nostre parti, è una sorta di sport nazionale. E Arrigo? Fa finta di niente, sorride, è disponibile come e forse più di prima.
E il modo più bello per gustare questo doppio successo. E lo stress? L’ha scaricato in campagna, a Fusignano. Lui, sotto sotto, ha questo vantaggio. Il podere logora chi non ce l’ha.
Marco Montanari
LA VACANZA INTELLIGENTE
Un’occasione da non perdere per chi vuole abbinare una vacanza al mare con una scorpacciata di calcio. La Kriterion vi offre questa accoppiata ad alto gradimento con un marchio d’eccezione, quello di Arrigo Sacchi. Dal 13 giugno al 10 settembre, infatti, verranno tenuti dei corsi settimanali comprendenti lezioni di educazione e preparazione atletica, tecnica del portiere, tecniche fondamentali di base. A chiusura del corso verrà disputato un torneo con premiazione, diplomi, medaglie e foto con il campione ospite. Per informazioni e prenotazioni, contattate l’Associazione Kriterion, Viale 2 Giugno 93, 48015 Cervia (RA), telefono 0544/ 991243.