Italia 1934 – La Finale
E Pozzo ebbe un’idea geniale
Le ore dell’attesa, le più dure, come avrebbe confessato Pozzo, erano finalmente alle spalle quando l’arbitro Eklind fischiò l’avvio della storica finale.
I due avversari
Per gli azzurri di Pozzo, due avversari temibili.
L’emozione, davanti al Duce (in tribuna accanto ai principi di casa Savoia) e idealmente all’intera nazione, ben rappresentata dai cinquantamila che colmavano le gradinate dello Stadio del Partito Nazionale Fascista (l’attuale Flaminio, completamente ricostruito nel dopoguerra); in palio, ovviamente, la Storia, cioè la possibilità di entrarvi dalla porta principale con una memorabile conquista.
E poi, ovviamente, la Cecoslovacchia, maestra di quel calcio danubiano fatto di raffinatezze tecniche cui aveva elargito negli ultimi anni campioni straordinari. Le cronache hanno teso spesso a ingigantire il duello tra le due formazioni, specie nei primi quarantacinque minuti, elevandolo a una lotta tra giganti tecnici.
La realtà, più prosaica, sta nella cronaca che sull’onda di lucidissimi ricordi ne fece Vittorio Pozzo, cronista di razza indisponibile a deformare i fatti sull’onda della retorica:
La Cronaca di Vittorio Pozzo
«La levatura del giuoco non è troppo elevata. Le due squadre sono troppo emozionate, per giuocare bene. È la storia di sempre. L’importanza della posta taglia le gambe a tutti.
Primo tempo in bianco assoluto.
Secondo tempo, stessa falsariga. Finché, al 26. minuto, l’ala sinistra dei boemi, Puc, sguscia via, tira da lontano ed infila l’angolo basso della nostra rete, sulla destra di Combi. Il quale si è gettato in tuffo in ritardo e non è riuscito a parare. È emozionato anche lui, il buon Piero. Quel punto ha però la virtù di risvegliarci. Fa l’effetto di una staffilata sul morale dei nostri. Gli Azzurri non vogliono saperne di perdere. Ed al 36. minuto Orsi pareggia. Si è fatto luce sulla sinistra, con una muta di inseguitori appresso, finge di tirare di sinistro e di colpo spara invece di destro, verso l’angolo lontano alto. L’imbattibile Planicka si allunga in tutta la sua lunghezza sulla sua sinistra, sfiora la palla colla punta delle dita, ma non la ferma. Uno a uno. È il pareggio. Non perdiamo, e non perderemo più. Ne sono sicuro.
Prima dei tempi supplementari non rientriamo negli spogliatoi. Rimaniamo lì sul prato. I nostri hanno facce cadaveriche, per l’emozione, per il momento che hanno attraversato. Proprio come in quei momenti di attesa e di mezzo panico prima dell’incontro. Forza, ragazzi. Vincere bisogna. Forza e calma, veterani di tante battaglie.
Ricomincia la danza, per i due tempi di quindici minuti l’uno. Intuisco una soluzione all’intricato problema: ordino a Guaita ed a Schiavio di scambiarsi il posto. C’è un fracasso tale attorno al campo — la gente è scesa fino ad un paio di metri dalle linee laterali — che nessuno mi sente. Faccio di corsa il giro del campo, e giungo a dare a Guaita le opportune disposizioni: cambiarsi, poi ricambiarsi ancora di posto, e così ogni due o tre minuti, per disorientare gli avversari. Al secondo tentativo la manovra riesce appieno. È Schiavio che, sfinito, arriva in corsa, e fa partire una rabbiosa cannonata, in senso diagonale. È Planicka che per la seconda volta deve abbassarsi e raccogliere la palla nella sua rete. Di lì, come risultato, non ci si muove più: si può esserne sicuri ora. Vittoria per due a uno».
L’entusiasmo alla fine fu indescrivibile. La vittoria fu giudicata meritata dagli osservatori, per la sapiente miscela di qualità tecniche e doti fisiche e agonistiche messa in campo dagli azzurri.
Il Tabellino
10-6-1934, Roma (Stadio del Partito Nazionale Fascista)
Italia-Cecoslovacchia 2-1 d.t.s.
Reti: 70’ Puc, 80’ Orsi, 95’ Schiavio
Italia: Combi, Monzeglio, Allemandi, Ferraris IV, Monti, Bertolini, Guaita, Meazza, Schiavio, Ferrari, Orsi
Cecoslovacchia: Planicka, Zenisek, Ctyroky, Kostalek, Cambal, Krcil, Junek, Svoboda, Sobotka, Nejedly, Puc
Arbitro: Eklind (Svezia)
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