Bruno Torretta, Il Dentista dello Scudetto
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Tutto cominciò con Bovina…
Bruno Torretta, per più di quarant’anni, è stato il dentista del Bologna. Dalla fine degli anni Cinquanta in poi, ha curato la dentatura di chi indossava la maglia rossoblù.
Fu Antonio Bovina, il diesse dell’ultimo scudetto, a inaugurare la moda, con il beneplacito del presidente Dall’Ara.
Nel suo studio, poi, i calciatori portavano pure mogli, fidanzate, figli: questo per farvi capire quanto fossero modici (tendenti allo 0…) i prezzi praticati.
Ci andava mio padre, naturalmente, che strinse con lui un’amicizia terminata solo con la loro dipartita. Bruno Torretta è il mio padrino: se n’è andato anche lui, poco meno di due anni fa, ma restano vivi il suo ricordo e le sue parole…
Altro che Guardiola…
A ciascuno il suo. Pep Guardiola, per esempio, l’ha paragonato all’Atalanta: «Affrontarla è come andare dal dentista, si soffre sempre».
Avvicinandosi all’anniversario dell’ultimo scudetto del Bologna (sono passati 60 anni), è lecito domandarsi che rapporto avesse Fulvio Bernardini con il proprio odontoiatra. Non potendolo chiedere a lui (il Dottor Pedata se n’è andato nel 1984), lo chiedemmo all’altro diretto interessato, appunto il suo dentista.
Che era anche il dentista di tutti quei meravigliosi Ragazzi del ‘64 e di tanti loro “eredi” negli anni a seguire. Il dottor Bruno Torretta ci ha aperto le porte di casa sua, i cassetti della memoria e quelli in cui custodisce le foto che vedete pubblicate oggi.
Perché lui, quel 7 giugno 1964, mollò il trapano dello studio in Via Benedetto XIV per essere là dove veniva scritta la storia del Bologna, in mezzo al prato dell’Olimpico…
Il fascino di Via Piella
La prima curiosità: perché nell’immediato dopoguerra uno studente nato e cresciuto a Teramo decide di studiare Medicina a Bologna? La facoltà di Roma era decisamente più vicina a casa… Torretta sorride e spiega: «Vero, la Città Eterna è più vicina a Teramo, però alcuni amici di mio fratello, più grandi di me, erano venuti a studiare a Bologna e raccontavano mirabilie».
Ah, già, l’antico fascino dell’Alma Mater Studiorum…
«Sì, certo, anche quello».
“Anche”?
«Facciamola breve: avevo 18 anni e il mio primo domicilio fu in Via Piella. Devo spiegare?».
E poi ci trovavamo al Roxy Bar…
No, facciamo che i lettori meno giovani hanno capito e gli altri si vanno a documentare. Ok la scelta di Bologna, ma come si entra nell’orbita del Bologna calcio?
«Questa è una città viva, stimolante, il dovere e il piacere vanno a braccetto. Terminati gli studi e iniziato a lavorare, per esempio, non persi l’abitudine di frequentare gli amici. Noi ci trovavamo in Via Rizzoli, al Roxy Bar, e lì conobbi Antonio Bovina, il factotum di Dall’Ara. Il calcio mi piaceva, gli dissi che per me sarebbe stato un onore prendermi cura dei calciatori del Bologna, lui ne parlò con il presidente che diede il placet».
Quello che Torretta non dice, è che lui ci guadagnò in pubblicità, non certo in soldi: diventò “il dentista del Bologna”, ma il denaro lo incassava dagli altri pazienti, perché a convincere il presidentissimo erano state le tariffe, molto vicine allo zero…
Grazie al doping…
Torretta entra quindi di diritto nello staff medico rossoblù, ma da qui a sedersi in panchina accanto a Bernardini ce ne passa…
«Quando scoppiò il falso scandalo del doping, la Federcalcio squalificò anche il medico sociale, Poggiali, al quale di conseguenza non venne concesso di seguire la squadra in campo. Fu così che venni “promosso” e a quel punto, pur essendo stata revocata la squalifica a Poggiali, all’Olimpico andai anch’io».
All’Olimpico e a Fregene, dove Bernardini portò la squadra per la preparazione allo spareggio.
«Una trovata geniale. Dopo quella stagione infernale, dovendo affrontare la squadra Campione d’Europa, lui portò tutti in spiaggia per spezzare la tensione (che salì alle stelle per la morte del presidente) e dare modo ai ragazzi di prendere contatto con l’estate romana. L’Inter invece andò in montagna: i nerazzurri arrivarono a Roma e si sciolsero, gli mancava il fiato».
Com’era la vita, a Fregene?
«Grande serenità, nessuno stress almeno fino all’arrivo della notizia dell’infarto a Dall’Ara. I ragazzi avevano regole da seguire, però godevano di grande liberà. E lo stesso Bernardini dava… l’esempio: Cervellati guidava le sedute atletiche, mentre lui giocava a tennis…».
Il Dottor Pedata curava a modo suo le pubbliche relazioni…
«Fulvio, oltre che un grande tecnico e un bravissimo tennista, era pure un ottimo psicologo. Rimasi colpito, ad esempio, dal suo modo di salutare la squadra. Tutte le mattine entrava nello spogliatoio ed esclamava “Buongiorno a tutti tranne uno”. Beh, quell’uno era Capra, proprio l’uomo che gli permise di scardinare l’assetto tattico dell’Inter. Evidentemente Bernardini aveva già pensato quella mossa geniale per bloccare Corso e quello era il suo modo – senza farsi capire dagli altri – per caricarlo, tant’è vero che una volta tornati a Bologna gli regalò un’auto perché era stato tatticamente perfetto…».
I rossoblù in… poltrona
Un tuffo a Fregene, un altro all’Olimpico, ma com’erano i rossoblù nel chiuso dello studio dentistico?
«Tutti bravi, nessuno escluso. Bernardini aveva un po’ di paura, però sapeva superarla, proprio come Bulgarelli, che poi – più avanti negli anni – continuò a farsi curare i denti da me e anzi portò pure i suoi figli. Grazie anche alla poltrona odontoiatrica mi sono fatto tanti ottimi amici. Inutile citarli tutti, colgo l’occasione per rammentare quello che se n’è andato tre mesi fa, Pavinato. Io e Mirko, da giovani, frequentammo un corso di bridge e non ci siamo mai persi di vista, tant’è vero che negli ultimi anni ci trovavamo ancora per prendere un caffè insieme…».
Per quanti anni è stato “il dentista del Bologna”?
«A livello “ufficiale” mi verrebbe da dire che il rapporto diretto con la società si chiuse con l’addio di Luciano Conti, ma in via ufficiosa il rapporto è durato di più grazie al passaparola».
Il peggior cliente rossoblù avuto in carriera?
«Tuo padre, e pure tuo fratello Roberto, anche se non era tesserato… Quando il ragionier Montanari veniva in studio, mi obbligava a… rincorrerlo. Ti dirò di più: i pazienti in sala d’attesa si spaventavano, così prendemmo l’abitudine di vederci il sabato mattina, quando l’ambulatorio era chiuso».
Ops…