Angelo Macchi, ho visto Donadoni
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Angelo Macchi
L’Atalanta della stagione 81-82 ha un compito soltanto: risalire immediatamente da quella Serie C1 in cui è precipitata al temine del campionato precedente! Per farlo, gli orobici hanno affidato a Ottavio Bianchi una “rosa” di tutto rispetto, veterani come De Bernardi, Snidaro e Perico assieme a giovanotti di sicuro avvenire quali Donadoni, Madonna ed Enzo; tra questi, figura anche Angelo Macchi, classe 1965, portiere della Primavera nerazzurra.
La primavera dell’Atalanta
Pizzaballa stravede per questo giovane arrivato quasi per caso: «In realtà l’osservatore che mi seguiva lavorava per l’Inter, ma passò all’Atalanta e così arrivai nella squadra della mia città; avevo 13 anni ed era la soluzione ideale per un sacco di motivi».
Nel campionato Primavera, Macchi è il titolare e le buone prestazioni gli valgono la chiamata come dodicesimo il 17 gennaio per Atalanta-Rhodense, ma la sfortuna è in agguato.
Il menisco capriccioso
Un menisco capriccioso lo costringe a un’operazione nell’aprile 82, cinquanta giorni di gesso e lungo stop. «Oggi il menisco è una sciocchezza, ma allora occorreva tempo. La squadra salì in B, ma a settembre io non ero ancora pronto, così dovetti accontentarmi di una stagione in Primavera a mezzo servizio, mi rimisi in sesto a dicembre…».
Per il giovane numero uno, però, qualche soddisfazione arriva lo stesso, due panchine in B contro Reggiana e Varese le colleziona verso fine campionato: «Portai anche fortuna, perché vincemmo 5-1 con la Reggiana e pareggiammo a Varese, venni chiamato in quanto Bordoni, che era il dodicesimo, era assente. Per me, che sono atalantino fin da bambino, fu qualcosa di straordinario!».
Le stagioni in promozione
La stagione successiva Bianchi va via, arriva Sonetti e per Macchi le porte si fanno maledettamente piccole. «C’era incertezza su chi venisse ad allenare la prima squadra, poi arrivò Sonetti il quale, probabilmente, si sentiva più sicuro ad avere portieri di maggior esperienza. Benevelli era il primo e poi arrivò da Roma Pappalardo», il ragazzo ha voglia di giocare e di portare a termine il percorso scolastico, così, d’accordo con la dirigenza, va a giocare in Promozione a Caravaggio, il suo paese.
«Fu una scelta dettata dal mio modo di vedere il calcio, in famiglia lo abbiamo sempre guardato come un gioco, un di più. Avevo voglia di terminare gli studi, laurearmi, e giocare a Caravaggio era un buon compromesso».
Il finale della carriera
Macchi per qualche stagione gioca “a casa” e poi comincia il percorso lavorativo che attualmente lo vede impiegato in banca al servizio crediti.
Oggi è un uomo felice e realizzato, che non ha alcun rimpianto calcistico. «Rifarei tutto ciò che ho fatto, esperienza fantastica, con l’Atalanta ho giocato a Ginevra, Marsiglia e ho girato posti bellissimi, ma non rimpiango niente. Di Donadoni ne esce uno ogni tanto, e noi lo avevamo già».
E si gode un figlio in odore di laurea che lo ha avvicinato al basket senza però fargli dimenticare quanto è bello volare tra i pali.