C’ero Una Volta
Bello e impassibile
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Lo so, è l’incipit (storpiato) di tutte le favole. Io non ho mai scritto una favola, non ho più l’età per le favole, ma una favola – professionalmente parlando – l’ho vissuta. Giornalista professionista da quarant’anni: insomma, qualcosa avrò pur fatto, e sto andando a sfogliare le pagine per recuperarne le tracce. Lo faccio sfruttando il regalo di Marco De Polignol, che si è preso la briga e di certo il gusto di catalogare Guerin Sportivo e Calcio 2000, le “case” che hanno ospitato la mia prima e seconda vita (già, ormai sono alla terza età…). Ogni settimana andrò a pescare in quel magico hard disk un pezzo di me (non c’è bisogno di aggiungere altro, please…), con la speranza di presentarvi una persona (non mi piacciono i personaggi) come ho avuto la fortuna di conoscerla io: senza filtri, solo un taccuino, una penna e tanta curiosità. Dice che la gente non ha più voglia di leggere: meglio così, la maggioranza penserà che si tratti di un inutile culto della personalità e tirerà dritto senza soffermarsi. Per gli altri, che saranno pochi ma mi auguro “buoni”, ecco a voi C’ero una volta…
È successo oggi, 6 gennaio, un anno fa. È successo, ma per chi l’ha conosciuto (e quindi lo ha stimato, ammirato, gli ha voluto bene) ancora oggi è impossibile da accettare. Un anno fa, Luca Vialli se n’è andato. Non ho sentito il Mancio, ma sono sicuro che sta preparando il debutto in Coppa d’Asia con il magone: lui e Luca rappresentavano la coppia perfetta. In compenso mi ha telefonato Beppe Galderisi: «Marco non riesco a trovare una mia foto con Luca, mi puoi aiutare?». Nessun problema, il “Guerino” non abbandona gli amici: numero di presentazione dei Mondiali ‘86, Luca e Nanù accanto nella foto ufficiale degli Azzurri.
Il “mio” Vialli è un ragazzo in gamba, figlio della buona borghesia cremonese, intelligente, istruito, simpatico, sempre pronto a scherzare e un attimo dopo ad affrontare con la necessaria serietà qualsiasi problema per risolverlo. Il compagno di classe che tutti avrebbero voluto accanto nel banco, il fidanzato ideale per chiunque abbia una figlia femmina, il calciatore giusto da inserire nel fantacalcio. E attenzione, non dico questo perché post mortem siamo tutti migliori; glielo dicevo quando ci trovavamo a mangiare alla Ruota di Nervi, quando eravamo in viaggio con l’Under 21, quando faceva le sue incursioni mentre intervistavo il Mancio, «che se non faccio un po’ di casino io, tu ad ascoltare lui ti addormenti».
Un anno oggi. Le celebrazioni, sui giornali, sono iniziate un paio di giorni fa: che imbecilli, i miei colleghi, avevano forse paura di prendere il “buco”? Il mio ricordo di Luca, con quell’ultima intervista che non sono riuscito a fargli («Non è il momento, Marco»), lo tengo per me. Per gli altri, per chi l’ha conosciuto di striscio e per chi invece lo ha semplicemente adorato dagli spalti, sono andato a ripescare un articolo dell’estate 1989. Doveva ancora succedere tutto: la Coppa delle Coppe, Italia 90, lo scudetto, la Juventus, l’Inghilterra, la malattia, l’addio. Leggete le sue risposte e capirete quanto fosse Grande questo ragazzo di appena 25 anni. E chissà se Bosotin andò a ritirare il suo San Bernardo…
Bello e impassibile
La lunga estate calda di Vialli
«Dicono che resto a Genova perché sono un vigliacco, per me invece è un atto di coraggio: vincere qui è molto più difficile che altrove»
«Non ho mai pensato che Mantovani fosse sul punto di cedermi. Anzi, fu proprio lui ad avvertirmi che sarebbe scoppiato il caso Fiat-Samp»
«Perché nascono certe voci? Chissà, magari c’è qualcuno che cerca un modo elegante per farci rompere con il nostro presidente»
di Marco Montanari – foto di Giuseppe Briguglio
È l’unica bandiera capace di sventolare anche in assenza di vento, l’oggetto del desiderio dei padroni del vapore pallonaro, il sogno nel cassetto di tutti i tifosi.
Anche quest’anno, quando si è visto venduto e comprato un giorno sì e l’altro pure, Luca Vialli non ha battuto ciglio: bello e impassibile, se n’è rimasto comodamente sdraiato sotto il sole di Sardegna in attesa di ricominciare l’avventura con la maglia di sempre, quella della Sampdoria.
Bello e impassibile e, a quanto pare, irraggiungibile, alla vigilia di una stagione che lo vedrà impegnato su parecchi fronti, ha accettato di voltarsi per guardare quello che è stato, senza tralasciare uno sguardo al futuro. E, soprattutto, tenendo fede al suo personaggi: intelligente, preparato, dissacratore…
Come sono state le vacanze del signor Vialli? Distensive, elettrizzanti, caotiche?
«Sono state vacanze splendide. Sono andato per la prima volta in Sardegna assieme a Dossena, Mannini, Bocchino, Salsano e Vierchowod: un posto da favola, una compagnia eccezionale. Insomma, mi sono veramente divertito e al tempo stesso sono riuscito a rilassarmi».
Leggevi i giornali?
«Certo, ci mancherebbe. Così mi divertivo ancora di più…».
Non hai pensato neanche per un attimo che ci potesse essere qualcosa di vero nelle notizie che trovavi sui quotidiani?
«All’inizio di giugno, quando chi ha scritto della trattativa Sampdoria-Fiat stava ancora… indagando, Mantovani disse a me e a Mancini che nel giro di un mese sarebbe scoppiata la bomba. Era già tutto previsto».
Com’è possibile che nascano queste voci senza che ci sia un fondamento di verità?
«Io mi posso limitare a fare due ipotesi. O qualcuno si diverte a far credere determinate cose per far cadere certi giornali nella trappola, oppure c’è chi — attraverso questi colpi a sensazione — vuole tirare acqua al proprio mulino».
Sarebbe a dire?
«Metti caso che qualcuno di noi avesse “abboccato”: magari sarebbe andato da Mantovani convinto di essere stato preso in giro e avrebbe chiesto di essere ceduto. In altre parole era un modo molto elegante per farci rompere con il nostro presidente».
Tu sei arrivato a trincerarti dietro il silenzio stampa…
«Ero in vacanza e ogni tanto arrivavano giornalisti a chiedere, indagare, fare supposizioni. Non mi sembrava giusto far lavorare il… cervello anche a bocce ferme. E poi d’estate si dicono cose banali, perché avrei dovuto annoiare la gente?».
Così hai preferito dedicarti anima e corpo alle moto d’acqua e all’off-shore…
«È da un paio d’anni che mi diverto così. Anche durante la stagione agonistica — quando gli impegni lo permettono — coltivo questo mio piccolo hobby, grazie alla disponibilità di Tullio Abbate. Sai, ho il vantaggio di abitare sul mare: abitassi sul Po o sui Navigli sarebbe tutto più complicato».
Qualcuno ha detto: Vialli rimane a Genova perché ha paura di giocare in grandi club come Milan o Juventus. Per caso sei un vigliacco?
«Pensa come va il mondo: per me rimanere alla Samp è un atto di coraggio… Vincere qui è difficile, io e i miei compagni preferiamo complicarci la vita pur di arrivare più lontano di dove siamo arrivati finora. Questione di punti di vista, direi…».
A Bogliasco, il giorno del raduno, hai gettato nel panico cronisti e tifosi…
«E solo perchè ho detto: “Se oggi ci fosse un certo giocatore, potrei anche parlare di scudetto e Coppa delle Coppe. Quel giocatore non c’è e non sono nello spirito adatto per fare proclami”. Niente di esplosivo, eppure si è scatenato il finimondo».
Il giorno dopo, quando sui giornali hai letto tutte quelle supposizioni (Vialli voleva McMahon, oppure Giannini, oppure chissà chi), non ti è venuta voglia di chiarire il mistero?
«A me premeva che il messaggio arrivasse a qualcuno, l’importante era che chi doveva sapere avesse saputo. Non ho detto chi era “Mister X” perché non credo che possa interessare alla gente».
E allora diciamo — tanto per offrire un… assist ai lettori — che avremo modo di parlarne più avanti, e che il cognome di “Mister X” comincia per B. Cos’è l’amicizia?
«Una cosa bella, importante, che ti aiuta a vivere. Molti dicono che nel calcio è impossibile avere amici, che nessuno riesce a legare con persone che frequenti per un anno o due e poi perdi di vista. Per me è diverso: io qualche amico vero, nell’ambito del calcio, ce l’ho».
Come se non bastasse la “sparata” di Bogliasco, ti sei messo pure l’orecchino, come due anni fa…
«Me l’ha regalato un amico e penso che i regali non si debbano gettare nel cestino. Lo porto, mi piace, ma state tranquilli: magari tra qualche tempo me lo toglierò…».
Zoff ha dichiarato che con Vialli la Juventus sarebbe stata da scudetto…
«Ecco, lui ha detto questo e non è successo niente… Comunque lo ringrazio per la stima, anche se credo che Madama non sia da buttare. In Italia, purtroppo, contano solo le novità, è uno dei nostri difetti: tanto per dire, nessuno pensa anche solo per un attimo che Zavarov possa tornare ai suoi livelli e trascinare la Juventus verso grandi traguardi. Poi c’è Alejnikov, un telaio già collaudato, qualche giovane interessante: i bianconeri sono competitivi, altro che storie».
È davvero così difficile uscire dalla Sampdoria? Cos’ha di speciale il tuo presidente?
«Mantovani è una persona molto onesta nei rapporti con gli altri, credo non abbia mai detto una bugia a un giocatore. Nei nostri confronti non ha solo una relazione professionale: ci insegna parecchie cose, ci sta vicino, ci mette in condizione di lavorare al meglio».
Un giudizio su Berlusconi?
«Non lo conosco bene, comunque penso che sia per i calciatori del Milan quello che è Mantovani per noi. Probabilmente è più “attaccato” alla vittoria rispetto al nostro presidente: ha più grinta».
Mai conosciuto l’avvocato Agnelli?
«Come no? Stando a quello che leggo sui giornali, ci vediamo quasi tutte le settimane…».
La stagione 1988-89 è finita in modo agrodolce: vittoria in Coppa Italia e polemiche per la “rissa di Cremona”…
«Sono state dette tante cose, al proposito. Secondo me ha ragione Zenga: non è vero che il gioco duro possa indurre il pubblico alla violenza, altrimenti chissà cosa succederebbe quando si gioca il football americano, o il rugby, o l’hockey, per non parlare degli incontri di boxe. In quel momento stavano succedendo cose di tutti i colori, così qualcuno ha pensato di scaricare la colpa su di noi perché dei delinquenti lanciavano molotov contro un treno o pestavano un ragazzo fuori dallo stadio. E poi non capisco una cosa: quando le partite finiscono 0-0 e in campo c’è troppa cavalleria, sono tutti pronti a criticare; Sampdoria-Napoli è stato un match molto bello, giocato fino in fondo…».
Anche troppo, dicono…
«Ci sono stati diversi falli, è vero, però nessuno di noi si è fatto male. C’era molta tensione, in campo: noi volevamo vincere a tutti i costi per salvare la stagione, loro avevano qualche problema, intendo rapporti tesi con società e tecnico. Io ho visto dell’ottimo calcio, chi ha recensito la partita, invece, ha visto solo le botte».
Al di fuori dello sport, quale notizia ti ha maggiormente colpito, quest’estate?
«Amo il mare, non potevo restare insensibile davanti al dramma dell’Adriatico. Più in generale, comunque, seguo con interesse tutte le battaglie tese a restituirci un mondo più pulito».
Oltre alle alghe, ti ha turbato qualcos’altro?
«Le sciagure aeree: cominciano a cadere troppi aerei e per uno come me, costretto a viaggiare spesso, non è un bel segnale. Infine i rapimenti, che sono tornati prepotentemente alla ribalta».
Non hai paura di essere rapito?
«Francamente no. Piuttosto a volte mi è capitato di pensare che all’improvviso potrebbe saltar fuori qualche mitomane che pur di finire sul giornale sarebbe disposto a sparare a me o a qualche mio compagno. Ma non sono incubi ricorrenti…».
Il governo Andreotti?
«Ho avuto la fortuna di conoscere il Presidente del Consiglio: è simpatico, intelligente e stando qualche ora con lui ho capito quanto sia importante per il nostro Paese. Non per niente, quando c’è una situazione difficile da sbrogliare chiamano sempre lui…».
L’uomo politico che ti affascina maggiormente?
«Gorbaciov. È l’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto. Si sta scontrando con una realtà complessa, però sono sicuro che riuscirà a risolvere tutti i problemi dell’Unione Sovietica».
Il personaggio che vorresti conoscere?
«Il Papa. Purtroppo finora non mi si è mai presentata l’occasione».
Giovane, ricco, affermato, bravo e — dicono— pure bello: te la senti di chiedere altro alla vita?
«A due cose non potrei mai rinunciare: alla salute e alla possibilità di fare quello che voglio».
E per lasciare la Samp che cosa pretendi?
«Una barca a vela di 48 metri. Però lontano da Genova cosa me ne farei?».
Si è sparsa una notizia: tu e Dossena state per comprare un camion-regia. Ti dai alla televisione?
«In futuro potremmo anche fare produzioni televisive, adesso no. Ci penseremo quando avremo smesso di giocare».
Il progetto, stando ai bene informati, sembrava avesse scadenze meno lunghe…
«Non ti sei accorto che Beppe è già alla… frutta? Lui potrebbe cominciare subito…».
Hai abbandonato il Guaranà…
«È stata un’esperienza positiva, mi ha fatto capire che quando giochi devi pensare solo a quello se non hai le persone giuste che seguono i tuoi interessi extracalcistici».
Intendi riprovarci?
«Per carità: ho già sbagliato una volta, mettendomi in società con Mancini. Perseverare sarebbe diabolico…».
A proposito: Vialli-Mancini, i gemelli che ogni tanto entrano in crisi di… coppia.
«Abbiamo litigato una sola volta. Il giorno dopo, per me era tutto normale, lui è più permaloso e ha smaltito l’arrabbiatura dopo una settimana».
Ipotesi: Vialli “oscura” Mancini.
«Direi proprio di no. Ci aiutiamo a vicenda, fra di noi non esiste l’invidia».
Però se la Samp vince è merito di Vialli, mentre se perde è colpa di Mancini…
«Forse perché se vinciamo sono stato io a togliere le castagne dal fuoco e se perdiamo è stato lui a giocare sotto tono…».
Da qualche anno è in voga un gioco di società: che cosa manca alla Sampdoria per essere grande? Vuoi giocare anche tu?
«No, è molto meglio il tressette».
Dicono che siete troppo allegri. Dei bambinoni, insomma…
«Noi non siamo amati dalla stampa. O meglio: siamo simpatici fino a quando non rompiamo le scatole a nessuno e soprattutto fino a quando non vinciamo. Prendi la finale di Coppa delle Coppe: hanno detto che non eravamo maturi, mica che contro il Barcellona mancava metà squadra».
I tuoi rapporti con i giornalisti?
«Cerco di essere cortese con tutti, ma a volte non ci riesco».
Il cronista preferito?
«Piero Sessarego del Secolo XIX. Ci è sempre vicino e non cerca inutili polemiche».
L’altra faccia della medaglia?
«Vladimiro Caminiti. Quando una persona esprime giudizi pesanti dovrebbe documentarsi, invece lui scrive di me — e di Zenga, e di Giannini, e di Maldini e di altri ancora — praticamente senza conoscermi, dice che non mi impegno in allenamento e al massimo verrà al campo una volta ogni sei mesi. Lui dice che scrive certe cose perché vuole bene ai calciatori, perché vuole aiutarci a crescere: sarà…».
Il giocatore a cui ti senti più legato?
«Roberto Bocchino. Per tre anni abbiamo vissuto insieme, ho scoperto che è un bravissimo ragazzo e un buon portiere».
Quello che invece eviteresti volentieri di incontrare?
«Ho rapporti civili con tutti i miei colleghi. Ultimamente ho avuto qualche problema in campo con Corradini, ma niente di drammatico».
Cancella Mantovani e scegli il presidente più simpatico del calcio italiano.
«Non ho dubbi: Romeo Anconetani. Quando rilascia le interviste è sempre arguto e divertente. E poi ogni tanto, di ritorno dalle partite della Nazionale, mi dà un passaggio sul suo aereo personale».
Il più antipatico?
«Costantino Rozzi, perché a quanto pare non mantiene le promesse».
Hai qualche rimpianto?
«Uno solo: volevo regalare un cane San Bernardo al mio amico Bosottin, ma lui non lo va mai a ritirare e così è come se non glielo avessi regalato…».
Luca è fatto così: intelligente, surreale, arguto, malizioso, dissacratore. Non ci sono vie di mezzo: prendere o lasciare. E il bello è che lo vorrebbero prendere tutti…