C’ero una volta
Il Principe e il Povero
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Lo so, è l’incipit (storpiato) di tutte le favole. Io non ho mai scritto una favola, non ho più l’età per le favole, ma una favola – professionalmente parlando – l’ho vissuta. Giornalista professionista da quarant’anni: insomma, qualcosa avrò pur fatto, e sto andando a sfogliare le pagine per recuperarne le tracce. Lo faccio sfruttando il regalo di Marco De Polignol, che si è preso la briga e di certo il gusto di catalogare Guerin Sportivo e Calcio 2000, le “case” che hanno ospitato la mia prima e seconda vita (già, ormai sono alla terza età…). Ogni settimana andrò a pescare in quel magico hard disk un pezzo di me (non c’è bisogno di aggiungere altro, please…), con la speranza di presentarvi una persona (non mi piacciono i personaggi) come ho avuto la fortuna di conoscerla io: senza filtri, solo un taccuino, una penna e tanta curiosità. Dice che la gente non ha più voglia di leggere: meglio così, la maggioranza penserà che si tratti di un inutile culto della personalità e tirerà dritto senza soffermarsi. Per gli altri, che saranno pochi ma mi auguro “buoni”, ecco a voi C’ero una volta…
È iniziato il campionato di Serie A 2023-24. Stasera, all’Olimpico, la Roma affronta la Salernitana e migliaia di cuori giallorossi avrebbero battuto all’unisono per Paulo Dybala, incoronato – a furor di popolo e con la benedizione di José Mourinho – nuovo Re di Roma, se l’argentino non fosse squalificato.
C’è stato un tempo, una trentina d’anni fa in cifra tonda, in cui quegli stessi cuori (e i cuori dei padri dei giovani tifosi) battevano per un purosangue “made in Trigoria”, Peppe Giannini.
Cresciuto all’ombra del Divino Falcao e a sua volta ispiratore di un’altra bandiera giallorossa, Francesco Totti, Giannini nella primavera dell’89 vive uno strano momento: rendimento al di sotto dello standard (e il suo era elevatissimo…), qualche battuta a vuoto pure in Nazionale ed ecco scatenarsi intorno a lui la tempesta perfetta.
Viene accusato di essersi montato la testa, di voler lasciare la Roma (ha appena rinnovato il contratto sino al 1992…) per andare alla Juventus, di essere un “campione senza valore” perché non sa affrontare i problemi.
Accuse infondate, ovvio, che però ne minano la serenità. Peppe vede montare intorno a sé tanta cattiveria e un giorno se ne esce con una battuta («Non mi piace più l’appellativo di Principe», che gli era stato affibbiato dal compagno Odoacre Chierico per l’eleganza in campo e fuori) che scatena il putiferio.
A quel punto, l’amico cronista si confronta con il proprio direttore, Marino Bartoletti, che gli dà il via libera per un viaggio alle Frattocchie, alle porte della Capitale, il centro del suo “regno”.
Offro a Peppe la possibilità di calarsi nei panni che preferisce fra quelli del Principe e quelli del Povero. Giannini sta al gioco e regala ai lettori del Guerin Sportivo la verità, senza filtri e possibilità di fraintendimenti.
Dimenticavo: oggi è il suo compleanno, arriva a quota 59. Cento di questi giorni, Principe!
Il Principe e il Povero
Le due facce di Giuseppe Giannini
Prima amato, idolatrato. Poi aspramente criticato. Il giovane leader della Roma getta la maschera e si racconta così…
di Marco Montanari – foto di Giuseppe Briguglio
C’era una volta un giovane principe, il popolo — il “suo” popolo — lo amava, la favola sembrava di quelle a lieto fine. Poi, improvvisamente, il principe scoprì di non avere alcun regno da ereditare e il popolo — o una parte di esso — gli si rivoltò contro. Giuseppe Giannini e la Roma, Storia d’amore e monarchia che sta tenendo banco sui giornali: l’erede al trono giallorosso non attraversa un momento di forma eccezionale e sul suo conto se ne sono dette (e scritte) tante, forse troppe. Non gioca bene perché si è montato la testa, oppure perché pensa solo ai soldi, o ancora perché ha gravi problemi familiari. O, infine, perché ha già deciso di abdicare, rinunciando al ruolo di portabandiera della Magica per andare a corte da una Vecchia Signora che in fatto di nobiltà se ne intende come pochi altri al mondo. Il principe ha smesso gli abiti del nobile per indossare quelli del povero, accettando di raccontarsi senza veli e senza falsi pudori, nella speranza di chiarire una volta per tutte come stanno le cose. Quello che gli abbiamo proposto non è solo un gioco fotografico: è un ideale passaggio di consegne fra un personaggio che non è mai esistito e un altro che pochi conoscono…
Partiamo da un dato di fatto: quest’anno non stai giocando al tuo livello…
«Sì, rispetto allo scorso campionato ho accusato un calo. Però, anche se non vado a mille, sto facendo in pieno il mio dovere. E questo, chi segue la Roma lo sa».
Prima un grande amore, adesso un odio palpabile: scateni sempre sentimenti forti. Alcuni critici ti hanno attaccato piuttosto pesantemente.
«Il mio è un gioco abbastanza difficile da giudicare, e le difficoltà aumentano quando chi è chiamato a valutarmi non capisce molto di calcio. Io, a seconda delle circostanze, posso anche sparire dal gioco perché mi viene richiesto un certo sacrificio. Tutto sta nell’accorgersene».
La gente da te si aspetta molto, forse i miracoli…
«Può anche essere giusto, perché mi considera un giocatore tecnicamente dotato. Quello che tutti dovrebbero comprendere è che a volte è più utile il possesso di palla o il passaggio corto piuttosto che il lancio di quaranta metri».
Ti sei mai chiesto per quale motivo sia cominciato questo tiro al bersaglio nei tuoi confronti?
«Non godo della stima di tutti i giornalisti, ma non è questo il problema. Chissà, forse il colore della maglia che indosso dà noia a qualcuno».
Intendi dire che la Roma è antipatica?
«Mi sembra chiaro. Il fatto di essere romano e romanista non mi ha agevolato».
Neanche i tifosi, però, ti hanno risparmiato…
«Quando la squadra va male, è difficile che i giocatori si salvino dalla contestazione. Nel nostro caso, i più bersagliati sono stati quelli che un anno fa trascinarono la Roma in Coppa Uefa».
E dopo Il derby…
«Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: la partita con la Lazio, per molti, vale un’intera stagione, e noi quel giorno proprio non c’eravamo. Però nel complesso ho un ottimo rapporto, con i tifosi: continuano ad arrivarmi tantissime lettere e sono tutte affettuose. Anzi, in sei anni di onorata milizia solo una volta mi è stato recapitato un messaggio non proprio cordiale».
Generalmente i prodotti del vivaio sono quelli più coccolati…
«A me non è andata esattamente così e questo in effetti mi dà un po’ fastidio».
All’inizio della stagione dichiarasti che il grande amore fra te e la Roma era finito: un segnale d’allarme?
«Dissi quelle cose, poi le mie frasi furono leggermente “montate” per creare confusione. In ogni caso ribadisco un concetto già espresso: io vengo generalmente apprezzato meno di altri miei compagni».
Hai notato molta cattiveria intorno a te?
«Tantissima, anche da parte di tuoi colleghi che si definiscono romanisti. L’importante è abituarsi».
Questo tormentone ti ha fiaccato?
«Diciamo che sono cose che danno fastidio e lasciano il segno».
Un anno fa, proprio di questi tempi, firmasti l’allungamento del contratto fino al 1992: oggi rifaresti la stessa cosa?
«Certo, se è vero — come dicono — che esistono le premesse per fare una grande squadra».
Da quanto si legge, Viola ha ammesso gravi difficoltà di bilancio, tanto da battere cassa in Federazione, in Lega e al Coni. Non sembrano grandi premesse…
«Il presidente è molto furbo, sono sicuro che — al di là dei problemi che in effetti non sono inventati — da tempo sta pensando al campionato 1989-90».
L’ultima campagna acquisti è stata disastrosa…
«Non sono d’accordo. La Roma ha ingaggiato ottimi calciatori che per tanti motivi non hanno reso come dovevano. Sono cose che capitano ovunque: diciamo che noi siamo stati più sfortunati di altri».
Voce di mercato: Giannini alla Juve, Mauro alla Roma. È possibile?
«A questo mondo tutto è possibile, anche se è chiaro che l’accordo deve essere trovato dalle società. Dipende dai rapporti fra presidenti».
Come dire, viste le scaramucce fra Viola e Boniperti, che non credi in questa operazione…
«Sono legato per altri tre anni alla Roma, quindi non mi pongo neppure il problema. Dico questo e comunque ho ancora davanti agli occhi l’esempio di Ancelotti: Carlo doveva restare con noi, poi fini al Milan. Sai, il giocatore è come il marito tradito: scopre la verità per ultimo…».
Ci potrebbe essere anche il Diavolo, dietro l’angolo…
«Qualche anno fa andai a Milanello per un provino. C’erano Rivera, Capello, Galbiati: mi fecero giocare nella formazione Berretti contro la Primavera, realizzai due gol ma non se ne fece niente. Non è un precedente incoraggiante….
Dicono che tu non abbia carattere, che sia un ragazzino viziato, un “mollaccione” che si lascia travolgere dagli eventi…
«Già, lo dicono. Dimenticando — a mio modesto avviso — che fin dagli inizi della carriera sono stato costretto a stringere i denti. Debuttai in Serie A e la domenica successiva mi trovai a giocare contro la Lazio una partita del campionato Allievi: puoi immaginare il mio stato d’animo e. le carinerie che mi vennero rivolte in quella occasione. Per più di un anno, dopo l’esordio, andai all’Olimpico da spettatore: non per questo mi persi d’animo. Con Eriksson sono finito in panchina e non mi sono certo abbattuto. Serve altro?».
Ipotesi: il “fantasma” di Falcao è diventato troppo ingombrante.
«No, Paulo è stato unico, non credo che la gente mi confronti con lui».
Come pensi di uscire da questo momento di crisi?
«Spero di riuscirci trovando un po’ di tranquillità, senza farmi prendere dalla voglia di strafare. E poi sono convinto che a gioco lungo la classe debba per forza venire a galla».
Una dichiarazione da presuntuoso?
«Ma no, figuriamoci. È forse un peccato non fare il falso modesto? Oppure devo pensare che improvvisamente io non sono più in grado di giocare a calcio?».
Come hai vissuto l’allontamento e il successivo ritorno di Liedholm?
«Non c’ero quando l’hanno mandato via, non c’ero quando l’hanno fatto tornare. Purtroppo se le cose prendono una brutta piega si cerca di dare una scossa all’ambiente licenziando l’allenatore, dimenticando che le vere colpe sono dei giocatori. Nella Roma come altrove, naturalmente».
In che rapporti sei con il Barone?
«Sono legatissiimo a Liedholm, lo ritengo un vero maestro».
Eppure dicevano che proprio tu eri a capo della rivolta…
«Se è per questo, gli stessi giornalisti che scrissero quelle cose oggi scrivono che non sono né per Liedholm né per Spinosi, ma solo per la Roma. La gente cambia opinione in fretta».
Però con Eriksson le cose andavano malino…
«Anche a lui devo molto, perché è riuscito a completarmi dal punto di vista atletico. Dovevo adattarmi a quel tipo di gioco e lo feci: il resto sono chiacchiere da bar».
Gli ultimi avvenimenti ti hanno cambiato?
«Ho semplicemente scoperto l’altra faccia della medaglia: fino a poco tempo fa non avevo avuto il… piacere».
Hai detto che non gradisci più il nomignolo che ti affibbiò Chierico…
«Non è esatto: ho detto che mi dà noia quando mi chiamano Principe con tono offensivo».
Tiriamo le somme: ti trovi meglio nei panni di principe o in quelli di povero?
«Sicuramente mi sento più vicino al povero. Sono un ragazzo umile, semplice, malgrado qualcuno scriva che mi sono montato la testa perché giro in Porsche e vesto bene. Ma, con tutto quello che dicono, non ci faccio neanche caso».
Marco Montanari
Io e la Famiglia
Caro Papà
Il Giannini “casalingo” risente delle disavventure del Giannini calciatore?
«Ovvio, non posso lasciare fuori dall’uscio le critiche e le cattiverie».
A proposito di cattiverie: ultimamente qualcuno ha esagerato…
«Da qualche tempo circolava la voce che giocavo male perché avevo dei problemi in casa. In altre parole, c’era chi insinuava che mia figlia non sia normale. Non avevo dato troppo peso alla cosa, ma quando questa stupidaggine è stata detta in televisione ho pensato fosse giusto uscire allo scoperto ».
Com’è possibile che nascano notizie del genere?
«Quando non fai gol tutti cercano di spiegare a modo loro il perché. Nel mio caso non potevano dire che faccio tardi la sera. che frequento giri sbagliati, che sono indebitato e fesserie varie. Così, facendo un grosso sforzo di fantasia, si sono attaccati a mia figlia».
Continuo a non capire.
«Fino ad oggi, non avevo permesso ad alcun fotografo di entrare in casa mia per riprendere Francesca. Il mio riserbo è stato interpretato nel modo sbagliato, pensavano avessi qualcosa da nascondere».
Che tipo di marito sei?
«Non mi tiro mai indietro, aiuto Serena in ogni tipo di faccenda domestica. Poi, quando decido di… esagerare, mi cimento ai fornelli: sono agli inizi, credo comunque di poter migliorare in fretta».
Sei un buon padre?
«È ancora presto per dirlo, mia figlia ha solo sette mesi e il rodaggio è ancora lungo. Per il momento posso definirmi affettuoso e in… balìa di Francesca: a lei le do veramente tutte vinte…
Io e la nazionale
Siamo Vicinissimi
La critica non ti risparmia nemmeno se indossi l’azzurro…
«Non ho intenzione di fare la vittima, però devo ammettere che difficilmente mi salvo, nei commenti, anche quando gioco bene. Chissà che cosa devo fare per meritare un bel 7 in pagella».
Che cosa ti ha detto Vicini?
«Di stare tranquillo. Il Ct è eccezionale, sa quello che valgo e tutte le volte che mi chiamerà io giocherò soprattutto per lui, per ripagarlo della fiducia».
Dopo le ultime amichevoli, in Austria e in Romania, certa stampa ha avuto parole dure nei vostri confronti…
«Ce ne siamo accorti. Siamo stati criticati violentemente dopo aver colto la quinta vittoria consecutiva e addirittura stroncati dopo la sconfitta di Sibiu. Chissà che cosa si aspetta da noi, certa gente…».
Si sta ricreando il clima precedente il Mundial dell’82?
«Speriamo di no, non sarebbe piacevole guardarsi oltre che dai nemici anche dagli… amici. Comunque il gruppo è a prova di bomba: provare per credere».
Dicono che questa squadra viene a mancare in occasione degli appuntamenti importanti.
«Si riferiscono alla sconfitta contro l’Urss, Abbiamo subito due gol, è vero, ma bastano per emettere una condanna definitiva?».
E se la Nazionale rispolverasse il silenzio stampa?
«In quel caso, l’unica cosa è augurarsi che vada a finire come in Spagna…».