Nel cuore, nell’anima
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Ciao Gianluca
«Non so quando si spegnerà la luce, che cosa ci sarà dall’altra parte: ma in un certo senso sono anche eccitato dal poterlo scoprire. Mi rendo conto che il concetto di morte serve per capire e apprezzare la vita» (Gianluca Vialli, dicembre 2022).
Luca alla fine ha ceduto, perché nessuno – neanche uno tosto come lui – può battere il Destino. Nel momento più triste per chi l’ha conosciuto e per chi – pur non conoscendolo – l’ha amato, ancora una volta mi viene voglia di abbinare il suo nome a quello del fratello adottivo, Roberto Mancini.
Già: non riesco neppure a immaginare il dolore che ha provato il Mancio ricevendo la notizia. Ed è dura, per chi vuole bene a entrambi, ipotizzarlo. Molto meglio raccontare le imprese vissute in simbiosi da quelle due forze della natura, talmente diversi da formare la coppia perfetta.
L’abbraccio che commosse
Volendola prendere da lontano, potremmo partire da Caino e Abele o Romolo e Remo, ma per stabilire quanto non sia scontato l’affetto tra fratelli suonerebbe ridondante.
E se funziona così tra parenti, figuriamoci come funziona senza il legame del sangue, tra semplici amici. Di più: tra amici che hanno entrambi ruoli da primi della classe. Chi di voi, figli del secolo scorso, annovera ancora oggi fra gli amici più stretti, per dire, i compagni di liceo?
Bene, detto questo risulta ancora più semplice capire per quale motivo l’immagine più bella di un Europeo vinto dopo 53 anni di vacche magre, destinata a gloria eterna, è l’abbraccio esplosivo e spontaneo tra Luca Vialli e Roberto Mancini dopo che Chiesa aveva fatto breccia nella roccaforte austriaca al quinto minuto del primo tempo supplementare di un ottavo di finale piuttosto complicato.
C’era (c’è), dentro quell’abbraccio, un cocktail di sentimenti capace di colpire tutti noi. C’era il superamento di un momento difficile, certo, ma c’era (c’è) soprattutto il senso di un’amicizia più forte del tempo, del denaro, della popolarità.
Perché Vialli sarebbe stato Vialli anche senza Mancini e il Mancio sarebbe stato il Mancio pure in assenza di Luca. O no?
La scintilla nell’Under 21
Riavvolgiamo il nastro. Chi li ha visti affacciarsi al calcio che conta, sa che il primo a mettersi in evidenza è stato Roberto, unica nota lieta di una stagione che portò il Bologna in Serie B: 30 presenze e 9 gol non bastarono a evitare l’onta della prima retrocessione al club rossoblù, ma consentirono al presidente Fabbretti di rimpinguare le casse cedendo il suo gioiello alla Sampdoria di Paolo Mantovani.
Il Mancio, a quel tempo, non solo giocava stabilmente in Serie A, ma stava facendo la trafila delle rappresentative azzurre giovanili da grande protagonista. Vialli invece cresceva poco per volta nella Cremonese, mettendosi comunque in luce.
A farli incontrare, dalle parti di Coverciano, fu Azeglio Vicini, Ct dell’Under 21, che per primo li schierò in coppia e poi segnerà le loro carriere in Nazionale.
Fede juventina
Nel frattempo, la Cremonese ottiene la promozione in Serie A, Luca è il capocannoniere della squadra degli indimenticabili Luzzara, Favalli e Mondonico e il suo nome comincia a comparire con una certa frequenza nelle cronache del calciomercato.
Lui è di fede juventina, tanto da dettare il titolo a un giovane cronista del Guerino che gli fa la prima di tante interviste, “S’io fossi Nanù”. Già, il suo punto di riferimento è Beppe Galderisi, di un anno più grande di lui, cresciuto e sbocciato alla corte di Madama, pure lui nel giro di quell’Under 21.
Il fatto è che Luca – pur avendo poco o niente in comune – lega immediatamente con il Mancio, che comincia a raccontargli le meraviglie del club blucerchiato, una sorta di paradiso calcistico sul pianeta Terra. Roberto, che evidentemente si sente manager all’inglese già una ventina d’anni prima di andarci davvero, in Inghilterra, lo bombarda a ogni raduno: «Dai, vieni a Genova, non te ne pentirai».
Luca sa che tra chi lo vuole c’è proprio la “sua” Juve, ma come detto il feeling con quel ragazzino che accarezza il pallone e gli fornisce assist al bacio è forte e quando Luzzara gli dice che ha ricevuto un’ottima offerta dalla Sampdoria dà il suo benestare e va a vivere in riviera.
Affinità elettive
Il magnifico progetto di Mantovani prende corpo poco alla volta e nel frattempo i due ragazzi si trovano a giocare insieme. In comune hanno l’età, la voglia di vincere divertendosi e capacità calcistiche superiori alla media. Per tutto il resto, assolutamente niente.
Estroverso Luca e riservato Roberto, il Mancio vede nel calcio l’occasione della vita mentre Vialli è consapevole che potrebbe cavarsela alla grande anche senza dare calci a un pallone.
La diversità che unisce
Eppure proprio queste diversità caratteriale e di prospettiva rappresentano il cemento su cui viene edificata una straordinaria amicizia che oggi, quasi quarant’anni dopo, è davanti agli occhi e nei cuori di tutti gli italiani.
Vialli è un casinista nato, al punto da farsi biondo con Bonetti e Cerezo per festeggiare lo scudetto, oppure presentarsi all’allenamento in pigiama perché l’anticipo alle 11 voluto da Boskov, lui che era un dormiglione, non l’aveva gradito. Mancini no, resta castano e va a Bogliasco in tuta, ma si diverte come un matto.
Ancora: le statistiche parlano di 738 partite giocate e 204 gol realizzati per Roberto e 657 presenze con 259 reti per Luca, eppure il “bomber” è sempre stato solo Vialli, nell’immaginario collettivo. Misteri del calcio…
Quella notte a Goteborg
Il Mancio non ne ha mai fatto un dramma, perché conosceva la verità, quella che i freddi numeri non riescono a raccontare: le sue giocate hanno fatto la fortuna di parecchi attaccanti, a cominciare proprio da Luca. Emblematica, a questo proposito, la finale di Coppa delle Coppe vinta contro l’Anderlecht.
Goteborg (Svezia), 9 maggio 1990: il tecnico dei belgi, Aad de Mos, predispone una roccaforte a difesa della propria porta. In campo, gioca a calcio una sola squadra, la Sampdoria, tanto che in tribuna stampa qualcuno propone di far pagare il biglietto d’ingresso ai belgi.
Nei 90 minuti regolamentari è un autentico assalto guidato dal numero 10, Mancini, tanto bravo quanto sfortunato nelle conclusioni. Durante i supplementari il copione non cambia.
La doppietta letale
Al 105’, il Mancio viene falciato appena dentro l’area, il pallone schizza sui piedi di Salsano che calcia al volo colpendo il palo.
La palla resta nell’area piccola, arriva un ricciolino con il numero 9 sulla schiena che la spinge in gol a porta vuota: 1-0. Inizio secondo tempo supplementare, è il 107’: Mancini continua a giganteggiare, scende sulla destra e fa partire un cross-bomba che incoccia la testa del solito numero 9 (destinatario dell’assist, s’intende) e finisce in rete per il 2-0 definitivo.
È l’apoteosi, la Sampdoria vince il suo primo (e tuttora unico) trofeo europeo gettando le basi per lo scudetto che arriverà dodici mesi dopo.
Al posto giusto
Finita la partita, tutti i flash e i microfoni sono per Vialli, autore della doppietta decisiva. Lo stesso giovane cronista del Guerino di cui sopra si avvicina al Mancio: «Io pensavo che Boskov avesse sostituito Luca, non lo vedevo più, in campo…».
E il Mancio, con un sorriso che giuro era il più sincero del mondo: «Luca è il numero uno. Hai visto? È sempre al posto giusto nel momento giusto».
Ancora oggi, guardando gli almanacchi, l’unico dato disponibile è la doppietta di Vialli; ancora oggi, se ne parlate con il Mancio, otterrete la stessa risposta…
Nessuna gelosia
Dice: possibile che due ragazzi destinati a primeggiare non siano mai stati risucchiati dal vortice della competitività? Possibile che non ci sia mai stata gelosia fra i due? Possibilissimo, e a sostenerlo non è il solito cronista del Guerino, che giovane non è più ma continua a occuparsi di loro: è la storia delle loro vite a testimoniarlo.
Hanno continuato a punzecchiarsi a vicenda come si usa fra veri amici, dando vita a simpatici siparietti comici, ma quando il gioco si è fatto duro, i duri sono scesi in campo.
Mancini, assumendo la responsabilità della Nazionale, sapeva a cosa andava incontro, quali erano le cosiddette criticità: ricostruire credibilità e fiducia, cercare gli uomini giusti per tradurre sul campo e nello spogliatoio la sua idea di calcio.
Per questo si è circondato di persone che conosce bene, amici senza virgolette (che in questo mondo vengono utilizzate fin troppo), senza peraltro buttare al macero quanto di buono aveva ricevuto in eredità dal passato.
Rombo di Tuono nel destino
È stato così nella costruzione della squadra (Bonucci e Chiellini, per dirne due, assieme all’allora carneade Zaniolo) e pure nella costruzione dello staff, fino alla ciliegina sulla torta, Luca Vialli capo delegazione. «È un onore essere stato chiamato dal presidente Gabriele Gravina per ricoprire il ruolo che è stato del grande Gigi Riva» la prima, doverosa dichiarazione ufficiale di Vialli.
E chissà se quel giorno, l’11 novembre 2019, a uno di loro (o magari a entrambi) è tornata in mente una dichiarazione fatta al Guerino tanti anni prima e mai pubblicata. Alla Ruota di Nervi, una sorta di lussuosa mensa aziendale blucerchiata, dove i calciatori andavano a rifocillarsi dopo gli allenamenti, il solito giovane cronista sta raccogliendo le confessioni di Luca da tramandare ai lettori.
Arriva anche il Mancio, che si mette a sedere allo stesso tavolo. L’intervista procede con i soliti toni scherzosi, il cronista gliela butta lì: «Gigi Riva fu soprannominato Rombo di Tuono. Tu quale appellativo pensi di meritare?».
Pausa teatrale, sguardo d’intesa con il Mancio, sorriso compiaciuto e poi la risposta mai pubblicata: «Marco, davvero dal profondo del cuore. Se lui era Rombo di Tuono, io al massimo posso aspirare al titolo di Tromba di Culo…». Applausi, sipario.
Società a irresponsabilità limitata
I calciatori di un certo livello guadagnano tanto, si sa, e pochi di loro sono laureati in Economia e Commercio.
Per questo, di tanto in tanto, alcuni rimangono invischiati in truffe, dal marmo nero ai rendimenti prodigiosi che durano lo spazio di un mattino. Luca e il Mancio, forti del loro legame, una trentina d’anni fa si misero… in proprio, condividendo l’attività imprenditoriale con Toninho Cerezo.
Le cose andarono più o meno così: il brasiliano magnificò a Vialli le proprietà organicolettiche di una bevanda al Guaranà che – immagino – andava alla grande a Copacabana e spiagge limitrofe.
Da lì, l’idea: «Luca, possiamo conquistare il mercato italiano!». A Vialli l’idea piacque, a patto che pure Mancini entrasse nel business.
Brindisi brasiliano
Detto, fatto: agli occhi del Mancio era un’altra occasione per condividere qualcosa con il suo “fratello di calcio”, quindi disse subito sì. La campagna pubblicitaria (“Guaranà, il frizzo brasiliano”) è ancora disponibile in Rete, potere di Internet. Della loro bibita, invece, non si hanno più notizie, al contrario della loro amicizia, più forte del tempo, del denaro, della popolarità e neanche la morte riuscirà a scalfire.