100 di questi giorni, Marino! – I servizi più belli
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I servizi più belli
Tu, che al Guerin Sportivo hai diretto i migliori fotografi sportivi italiani, per illustrare le tue opere fai largo uso di vignette griffate “Matitaccia”: che cos’ha Giorgio Serra di speciale, per spiegarlo a chi non lo conosce?
«È matto come me (forse anche un filino di più). Ma è la dimostrazione vivente che un disegnatore di (enorme) talento con una vignetta può “dire” più cose di un intero articolo».
In tanti anni di straordinaria carriera, immagino sarà difficile scegliere. Però oggi è un giorno speciale e ti chiedo uno sforzo ulteriore. Il più bel servizio realizzato per la tua prima “creatura”, il piccolo Pressing?
«Ogni tanto lo riguardo e sbalordisco. Tutti i numeri avevano piccole idee bellissime. Come quella di far scrivere di basket Lucio Dalla: che sostenne quanto l’Umanità non avesse compreso il suo grande talento come cestista. “Guai a te – mi intimò – se tagli una sola riga”».
Quello realizzato per il Guerin Sportivo?
«Nella fase giovanile una bella intervista a Gigi Riva (1971), che non parlava da mesi. In quella matura (1982), l’unica intervista a Bearzot dopo i Mondiali di Spagna. Non ebbi meriti particolari (se non la fiducia – e credo anche l’affetto – che il “Vecio” nutriva nei miei confronti: fu soprattutto un suo atto di riconoscenza verso il Guerino che, al contrario di tutti, lo aveva sempre sostenuto). I colleghi dei quotidiani impazzirono: dovettero riprenderlo riga per riga. Poi ci fu il mio celebre – lo dico con tristezza – reportage sull’Heysel (1985). Una volta diventato direttore, ogni vostra gioia era una mia gioia».
Il Giorno?
«Otto anni di belle battaglie. Un collega importante scrisse molto tempo dopo: “Bartoletti bisognava marcarlo a uomo”. Ricordo un ritorno “segreto” di Rocco al Milan (al posto di Marchioro). Quando, la domenica pomeriggio dopo la partita, Rivera mi scoprì a casa del presidente Duina a prendere il thè, mi disse quasi implorandomi: “Non vorrai mica rovinarci la conferenza stampa di domani, anticipando tutto?”. Secondo te?».
L’Occhio?
«Un anno di buone cose a ruota libera. Anche qualche piccolo scoop. Il più singolare? Scoprii la villa in cui si sarebbe sposato Paolo Rossi».
Calcio 2000?
«Un’esagerazione di cose belle! Più che altro io i servizi li pensavo, poi c’era qualche matto che li realizzava. Credo, a distanza di vent’anni, che quella rivista abbia veramente fatto scuola. E nel calcio di oggi non è facile realizzare un buon mensile».
Il Processo del Lunedì?
«Posso ricordare una delle puntate più indimenticabili. Quella con Giulio Andreotti in studio che si autoinvitò per convincere Falcao a non andare all’Inter».
La Domenica Sportiva?
«Con totale immodestia, un’intervista indimenticabile a Enzo Ferrari».
Pressing (tivù)?
«Ho appena riguardato la puntata con Pelé. Gli chiesi di palleggiare con Omar Sivori: il quale, alla banalissima domanda chi fosse migliore secondo lui fra “O rei” e il “Pibe de Oro”, rispose “è comunque una battaglia per il secondo posto”».
Quelli che il calcio…?
«Otto anni di meraviglioso delirio. Scegliere una sola puntata o addirittura un solo momento significherebbe fare torto alla piccola storia della televisione. Certo che Idris che teneva l’ombrello a Collina mentre cercava di capire se si potesse proseguire Perugia-Juventus, con tutto l’Olimpico ad aspettare se la Lazio potesse diventare o meno Campione d’Italia, mi fa ancora sorridere».
Procediamo in scioltezza, che siamo quasi arrivati. Il meglio e il peggio del mondo del calcio?
«In questi giorni faccio fatica a trovare il meglio. Forse, se Dio vuole, quella benedetta palla che continua a finire in rete alimentando i sogni di tanti bambini. Per il peggio ti rimando alle cronache di inizio gennaio».
Dell’automobilismo?
«Le emozioni forti che continua a dare (con sempre maggiore attenzione alla sicurezza): il peggio è quel senso di videogioco elettronico che lo sta snaturando».
Del motociclismo?
«La vittoria di Bagnaia, primo pilota italiano della classe regina su moto italiana a cinquant’anni da quella di Agostini, mi ha massaggiato il cuore. Anche perché, cinquant’anni fa, io c’ero! Non vedo un “peggio”, se non un po’ di fatica a contrastare il dominio della scuola spagnola».
Del ciclismo?
«È forse lo sport che amo di più in assoluto. Mi basta accucciarmi in cima a un passo, o godermi un arrivo in salita, per far pace con tutto. Anche con il “peggio” – e sappiamo di che si parla – da cui il ciclismo si è dovuto liberare».
Del basket?
«Mi godo quello che c’è, anche se mi mancano molto le emozioni che mi dava il basket italiano dominatore in Europa. Purtroppo i tempi e soprattutto gli “equilibri” sono cambiati».
Della musica?
«Amo il suo potere terapeutico comunque sia declinato. In certi momenti, una canzone o una romanza possono veramente farmi cambiare l’umore di una giornata. Certo, a volte si ha la sensazione che il meglio… sia già stato scritto».
Del mondo dello spettacolo?
«Detto così è un campo un po’ troppo vasto. Diciamo che mi piace vedere ancora il “sacro fuoco” in tanti giovani e in tanti settori, malgrado le contingenze non favorevolissime. Il peggio è sicuramente la mia recente opportunità di calcare i palcoscenici. Non solo, nel 2023 uscirà un mio cameo in un film. Spero che non sia la mazzata definitiva al settore».
Della politica?
«Ho l’età per poter dire che ho vissuto tempi più nobili».
Del mondo dell’impreditoria?
«Mi piace il furore creativo di tanti imprenditori figli delle nuove generazioni: non mi piace la parola start-up, ma devo ammettere che in certi casi funziona».
Se Marino Bartoletti non fosse diventato quello che è oggi, sarebbe stato…
«Un buon giornalista di provincia. O forse un cantante di piano bar…».
Ti sei definito “un Cristiano dubbioso”: oggi hai qualche certezza in più?
«A forza di scrivere del Paradiso comincio a pensare che non sia una brutta idea fare qualcosa per andarci».
Tieni corsi universitari: che cosa si prova a essere dall’altra parte della… cattedra?
«La sensazione che il nostro sia un mestiere che si può imparare, ma che non è facile insegnare. Certo, vedere tanti occhioni sgranati al racconto delle mie “favole” fa un certo piacere».
Ipotesi: uno dei tuoi nipotini, tra qualche anno, manifesta l’intenzione di fare il giornalista. Nonno Marino che cosa risponde?
«Quello che è stato detto a me: “Lascia perdere!”. Ma è provato che i vecchi hanno sempre torto…».
Conosco già la risposta, ma ti faccio ugualmente la domanda: hai altri traguardi da tagliare?
«I dati Istat mi garantiscono ancora otto anni e quattro mesi di vita. Spero che siano anni sereni. Anche se io, conoscendomi, farò di tutto per incasinarli».