100 di questi giorni, Marino! – Io e la musica
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Io e la musica
Sono testimone del fatto che la tua competenza musicale è “antica”. Perché, secondo te, è stata valorizzata e apprezzata soprattutto negli ultimi anni? La tenevi nascosta?
«Era un fiume carsico completamente parallelo alla mia passione per lo sport. Non avevo mai sentito la necessità di rivelarlo (al massimo rompevo un po’ gli zebedei ad amici e colleghi “interrogandoli” su Sanremo). Poi, a “Quelli che il calcio”, cominciai a invitare gli idoli della mia adolescenza, attribuendo loro il tifo per questa o quella squadra: e lì si scoprì la mia mania. Una volta Little Tony mi disse: “Dai, raccontami qualcosa della mia vita che non so”».
C’è un cantante a cui ti senti particolarmente legato?
«Che domanda crudele. Tu hai un cavallo a cui ti senti particolarmente legato? Mettendo assieme stima e amicizia, diciamo Vecchioni e Guccini. Mi manca molto Lucio, questo sì…».
Pochi giorni e sarà tempo di Festival di Sanremo: tu che lo vivi da dentro, ti sei spiegato per quale motivo la gente dice di non volerlo seguire e poi lo guardano in massa?
«È il quarto mistero di Fatima. Forse per lo stesso motivo per cui tanti votavano DC (o, successivamente, Forza Italia), ma lo negavano. Ma questa evidentemente è l’epoca dell’iconoclastia. Certo fa un po’ ridere leggere (anche sui miei profili): “Io non vedo più il Festival da trent’anni” e poi discettare sulla canzone di Mahmood, sul monologo di Crozza, sulla farfallina di Belen o sullo scazzo Bugo-Morgan. A meno che non li abbiano visti durante una seduta spiritica».
Qual è stata, secondo te, l’edizione più bella del Festival dal punto di vista dei brani presentati?
«Forse quella del 1968. Ti dico solo che la “Voce del silenzio” arrivò ultima e Louis Armstrong penultimo…. Per la cronaca vinse Sergio Endrigo in coppia con Roberto Carlos (“Canzone per te”). Erano in gara fra gli altri Shirley Bassey, Dionne Warwick e Wilson Pickett… Ma che te lo dico a fare? Tu vieni da un’ottima scuola!».
Par condicio: la più brutta?
«1975. Vinse Gilda con “Ragazza del Sud”. In gara, fra gli altri, Le volpi blu, Nannarella, La quinta faccia, Goffredo Canarini, Eva 2000, Franco e le piccole donne. Roba forte…».
Forse non tutti sanno che ti diletti a suonare la chitarra. La passione per la musica viene da tuo padre, giusto?
«La chitarra non prova lo stesso “diletto”. Comunque sì, qualche accordo lo so mettere assieme. Il vero e grande musicista di casa era mio padre Gualtiero, straordinario polistrumentista. Mi sono rimasti il suo violino, il suo clarinetto, il suo sax contralto e la sua fisarmonica: doni senza prezzo. A settant’anni comprò un mandolino e imparò a suonarlo in due giorni per fare le serenate alle sue quattro nipotine».
Restiamo in famiglia: tuo fratello Alberto ti assomiglia in niente. A lui non è mai venuto in mente di diventare giornalista?
«No, lui è una persona seria. Però, per farmi felice, mi procurò il primo contatto per non bussare (troppo) inutilmente alla famosa porta del “Resto del Carlino”. Si chiamava Luciano Foglietta: uno scrittore galantuomo. Fu lui ad aprirmi. E a incoraggiarmi. I due ragazzini di bottega di quella redazione eravamo io e Giancarlo Mazzuca».
Le tue “bimbe”, Caterina e Cristina, tempo fa mi raccontavano che da piccole ti vedevano più in televisione che… dal vivo: per arrivare ai livelli più alti è necessario sacrificare la famiglia? Quanto ti è pesato?
«Un po’, lo sai. Ho cercato di rimediare come ho potuto. Con tanto amore. Spero lo abbiano capito».
I tuoi nipotini, figli di Cristina e Caterina, che tipo di nonno hanno a disposizione?
«Un nonno disarmato. Filippo e Alice sono i miei traghettatori verso il futuro (e non solo perché mi insegnano a usare lo smartphone)
Forlì è il tuo luogo del cuore, Milano la città che ti ha adottato. Che cosa rappresenta Bologna, la città nella quale vivi ininterrottamente da una ventina d’anni?
«Un buon ritiro. Mi dispiace viverla poco. Quando mi regalo qualche passeggiata la trovo bellissima».
A proposito di Forlì: all’inizio del nuovo millennio, per lei, arrivasti a candidarti Sindaco. Venisti battuto, ma d’altronde quali chances poteva avere una lista civica che si opponeva al centro-sinistra rifiutando l’appoggio di Forza Italia e Silvio Berlusconi? Che cosa ti è rimasto, di quell’esperienza?
«L’orgoglio di averlo fatto per amore. E l’onore delle armi di tutto il Consiglio Comunale quando me ne andai dopo quattro anni: a cominciare dalla “controparte”. Avevo portato un po’ di entusiasmo e un “linguaggio” diverso. Qualcuno lo capì, qualcuno no. Metà città, da figlio prediletto che ero, mi considerò un “avversario”: solo perché avevo parlato con franchezza e libertà. Adesso credo che siano tornati a volermi (quasi) tutti bene».
Visto che ci siamo: quando eri il direttore di Sport Mediaset, Berlusconi – che era pure presidente del Milan – ha mai cercato di condizionare il tuo lavoro o si è limitato a chiederti di… tagliare i baffi?
«Berlusconi, per quanto mi riguarda, è stato un ottimo editore. Quando non “ci capimmo più” me ne andai serenamente. I baffi erano salvi e anche la mia coerenza».
Io ho visto un documento esclusivo: una foto in cui tu compari senza baffi. Visto che è il tuo compleanno, perché non mi fai un regalo e me ne dai una copia da pubblicare su Solocalcio?
«Te ne regalo due, entrambe molto preziose. Una accanto ad Aldo Giordani durante una telecronaca di basket (gli facevo da assistente, sapendo che tutto poteva servire per crescere). L’altra con Gianni Brera e Mario Fossati,cioè accanto alla Storia».
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