100 di questi giorni, Marino! – Fare televisione non era un mio obiettivo
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«Fare televisione non era un mio obiettivo»
Come nasce il tuo feeling con la televisione?
«Forse da (precocissimo) spettatore. Credo che il germe lo abbiano gettato le Olimpiadi di Roma con le imprese di Berruti, Benvenuti, Bikila… Ma quello di “farla” non era sinceramente un mio obiettivo».
Si parte con Il Processo del Lunedì, giusto?
«Si parte con i collegamenti da Milano per il Processo del Lunedì del 1982: semplicemente perché – da Carlo Sassi a (figuriamoci) Beppe Viola – non li voleva fare nessuno. Io all’epoca bazzicavo da quelle parti. Qualcuno mi chiese se me la sentissi di provare. Provai. All’epoca la trasmissione la conduceva Enrico Ameri, che a luglio venne fatto fuori per “leso Bearzot”. Lo vollero sostituire con una figura giovane, inedita e non compromessa. Mi chiesero se me la sentissi di provare. Provai. Lo condussi per due anni. Direi benino».
La Domenica Sportiva?
«Fu una promozione naturale. Anche se non tutti i giornalisti sportivi della Rai ne furono felici. La cosa buffa è che molti di loro mi ritrovarono come direttore dieci anni dopo».
Pressing (questa volta in video…)?
«Soprattutto, questa volta da ideatore (come direttore dei servizi sportivi di Mediaset). Lo condussi il primo anno assieme a Kay Sandvik, segnando il territorio (anche con buone punte di qualità). Poi lasciai il posto a Raimondo Vianello, che ne fece un capolavoro».
A mio avviso, merita un discorso a parte Quelli che il calcio… La trasmissione è tua e per condurla tu avevi addirittura pensato al premio Nobel Dario Fo…
«Era una trasmissione che avevo in testa da anni. Fu un sogno poterla realizzare (curioso: nello stesso giorno in cui ricevetti il via libera per realizzarla, coronai pure un altro sogno. Ma anche di quello parleremo per gli 80 anni). Io ritagliai per me il ruolo di play-maker (chiamando al mio fianco Carlo Sassi), ma nessuno voleva fare il front-man. È vero, andammo anche in pellegrinaggio da Dario Fo al Festival dei Due Mondi di Spoleto. Ma Franca Rame, alla fine della mia accorata esposizione del “prodotto”, sentenziò: “Il mio Dario una stronzata così non la farà mai”. E forse aveva ragione, perché di lì a poco gli diedero il Premio Nobel. Arrivammo a Fazio come ultima scelta: lui fece la fortuna della trasmissione, ma anche la trasmissione fece la sua fortuna».
Fabio Fazio già lavorava in Rai, ma sei stato tu a regalargli grande popolarità…
«Sì, faceva cose di piccolo cabotaggio, certamente al di sotto del suo valore. Con “Quelli che” esplose: Anima mia, Festival di Sanremo. Furono otto anni meravigliosi per tutti noi».
Se dico che anche Simona Ventura è una tua creatura televisiva sbaglio?
«Passo».
Hai diretto lo sport in Rai e a Mediaset: differenze, tra i due giganti della comunicazione?
«A Mediaset, parlo per la mia esperienza, ho visto decisamente più attenzione al merito “puro”».
Cesare Romiti ti volle direttore editoriale per le attività multimediali di RCS. Che esperienza fu?
«Fertile, importante e incompiuta. I Romiti se ne andarono sul più bello, proprio alla vigilia dell’esplosione del web. Avevamo anche già acquisito le frequenze per fare una radio tutta sportiva con il supporto della Gazzetta. Come si dice “coitus interruptus” in italiano?».
In tutto questo, il feeling con la radio sembra secondario. Però fosti tu a delineare il progetto editoriale di Radio 24…
«La radio forse è la mia passione più forte, anche se non coltivata come avrei voluto. Comunque alla creazione di Radio 24 cominciai a lavorarci poco meno di 25 anni fa. Fu un’avventura stimolante, di cui vado ancora molto fiero. Per la parte giornalistica assumemmo solo under 30: alcuni hanno fatto parecchia strada. Anche adesso sono – come dire – “sotto tentazione”. Vedremo… In fondo ho tutta la vita davanti, no?».
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